Addio Nino Benvenuti, campione di pugilato e leggenda dello sport. Quel rapporto stretto con l’Abruzzo

Benvenuti è morto a 87 anni, era malato da tempo. Era stato a Roseto in occasione del suo 80esimo compleanno per un evento di boxe: ecco l’intervista rilasciata al Centro in quella occasione
E’ morto Nino Benvenuti, leggenda dello sport italiano, campione del mondo dei pesi medi di pugilato e medaglia d'oro a Roma '60. Benvenuti aveva 87 anni ed era malato da tempo. Nato ad Isola d'Istria il 26 aprile del 1938, è stato tra i migliori pugili di tutti i tempi, Nino Benvenuti è stato campione olimpico nel 1960 nei pesi welter e campione mondiale dei pesi medi tra il 1967 e il 1970, epoca in cui i suoi confronti con Emile Griffith fecero la storia non solo dello sport ma anche della società dell'Italia di quei tempi. Benvenuti, del quale furono epiche anche le sfide con Sandro Mazzinghi, è stato campione mondiale ed europeo anche dei superwelter.
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BENVENUTI E L’ABRUZZO. Nino Benvenuti aveva un rapporto molto stretto con l’Abruzzo: il 24 aprile 2018 ha dato il via alle finali dell'Eubc Youth european boxing championship a Roseto degli Abruzzi, in qualità di ambasciatore del Pugilato Italiano nel Mondo, ruolo di grande prestigio affidatogli con entusiasmo e gratitudine dal Presidente Fpi, Vittorio Lai. La leggenda della boxe italiana e mondiale, allora 80enne, ha dato il via ai venti match conclusivi che hanno visto in sfida quaranta pugili.
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INTERVISTA AL CENTRO
Ecco l’intervista rilasciata al Centro da Nino Benvenuti in occasione del suo 80esimo compleanno, il 26 aprile 2018.
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Oggi Nino Benvenuti, un’icona della boxe italiana, compie 80 anni. Ieri è stato a Roseto per presenziare alle finali degli Europei Youth e alla vigilia del compleanno si è raccontato al Centro.
Benvenuti, il bilancio dei suoi 80 anni? «Sono felice, è bellissimo esserci arrivato in queste condizioni. L’età non mi impressiona affatto. Sono tanti, ma sono pochi considerando quelli che vorrei ancora vivere».
Che obiettivo si pone? «Spero di riuscire a vivere i prossimi anni come ho trascorso gli ultimi, con le stesse gioie e togliendomi più o meno altrettante soddisfazioni. Scherzi a parte, non credo di poter vivere ancora così a lungo».
Lei è nato nell’isola di Istria, cosa le è rimasto dentro? «Sono nato e cresciuto lì, fino a 13 anni. Ho concluso le scuole medie e poi abbiamo dovuto abbandonare la nostra terra a causa della guerra. Ci hanno occupato casa e ce ne siamo dovuti andare, dopo aver vissuto anni meravigliosi. Vivevo ad Isola, un paese fantastico di seimila abitanti sul mare, che oggi in realtà è una penisola. Infatti, col passare degli anni si è congiunta per una parte con la terraferma, ma ha mantenuto il nome originario».
Al di là della conquista dell’oro olimpico a Roma nel 1960, è entrato e rimasto nel cuore degli italiani per le battaglie col compianto Emile Griffith. «Senza dubbio quello è stato il periodo più bello della mia carriera sportiva perché ho avuto la fortuna di affrontare e battere un grande avversario, un pugile veramente molto bravo. Di gente brava ne ho affrontata tanta, ma lui aveva qualche cosa di più e meritava di essere il campione del mondo. Poi, sono arrivato io e mi sono preso quell’alloro a cui teneva tanto. Gli ho portato via il titolo, me lo sono goduto, cercando poi di mantenerlo e di curarlo al meglio, col rispetto dovuto alle cinture iridate».
Con il passare degli anni si è poi creato un bel rapporto fra voi due, al punto da diventare grandi amici. «Emile era una persona adorabile, educata. Con persone così garbate si ha il piacere di colloquiare, di stare assieme e di fraternizzare. Infatti siamo diventati proprio dei fratelli».
Che rapporto ha avuto invece con Carlos Monzon, l’uomo che le portò via il titolo?
«Diverso perché lui veniva da un’altra educazione, da un’altra estrazione sociale. Un modo di vivere che non aveva nulla a che vedere con quello mio. E lui non poteva essere felice di vivere in una maniera simile, ma era quella che gli toccava vivere e provava a gestirla. Non poteva fare diversamente».
È diventato amico anche con lui, al punto da fargli visita più volte in carcere, dove stava scontando la pena per aver strangolato la moglie Alicia Muniz la notte di San Valentino del 1988. «Sì, col passare degli anni siamo diventati amici fraterni e abbiamo mantenuto il nostro bel rapporto anche nel periodo in cui lui era in galera».
Come le ha cambiato la vita la conquista dell’oro olimpico nel 1960? «In una maniera stupenda. L’Olimpiade è l’élite per un pugile dilettante. Io volevo essere pedissequamente un dilettante puro, rispettando tutti i crismi, anche per fare un esame di coscienza e stare bene con me stesso. Lo sono stato per oltre 100 match. Esattamente, una sola sconfitta subita da dilettante su 121 incontri. A volte capita di trovarsi di fronte giudici non impeccabili, che possono dare vita a dei verdetti che lasciano stupefatti. Può succedere a chiunque e quella volta è capitato a me. Capita che mi venga ricordata questa macchia, ma io l’ho completamente rimossa, proprio dimenticata».
Quali sono le grandi differenze fra il pugilato odierno e quello dei suoi tempi? «C’era più aggressività, un impeto e uno spirito di combattimento che oggi non c’è, quanto meno non a quei livelli. Per noi era una vera e propria ragione di vita quella di prevalere sull’avversario e non c’era nulla che si potesse paragonare alle gioie ottenute con quei successi».
Il pugilato italiano esce da questi Europei Youth galvanizzato per i risultati ottenuti in ambito giovanile. «Sì, questo di Roseto è stato proprio un bel torneo che ho seguito con attenzione anche nei giorni scorsi. Faccio i complimenti a tutti».
Piergiorgio Stacchiotti
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CORDOGLIO MELONI. "Addio a Nino Benvenuti, campione straordinario e simbolo di un'Italia fiera, coraggiosa, capace di rialzarsi". Lo afferma sui social la premier Giorgia Meloni, sottolineando che "è stato uno dei più grandi pugili della nostra storia, ma anche molto di più: profondamente legato alle sue radici istriane, è stato un testimone instancabile della tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, contribuendo a scrivere una storia che non era stata raccontata". "Alla sua famiglia e a tutti coloro che gli hanno voluto bene va il mio pensiero commosso - aggiunge la presidente del Consiglio -. Grazie, Nino, per i tuoi combattimenti sul ring e per quelli in difesa della verità. L'Italia non ti dimenticherà".
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PATRIZIO OLIVA. 'Giorno molto triste, lui era la mia luce' - "Per me questo è un giorno molto triste, volevo molto bene a Nino Benvenuti, lui era la mia luce, la mia fonte d'ispirazione". Patrizio Oliva, al telefono con l'Ansa, commenta così la scomparsa del fuoriclasse della boxe che ha fatto la storia dello sport italiano. "Ci accomunava una cosa - dice ancora Oliva - lui e io siamo stati gli unici pugili italiani e a vincere in un'Olimpiade, lui a Roma e io 20 anni dopo a Mosca, l'oro e la Coppa di miglior pugile del torneo. Lui aveva visto molto bene il mio futuro, ricordo che quando io vinsi, a 17 anni, il mio primo titolo italiano dilettanti lui, che mi aveva visto combattere, disse 'questo ragazzino sarà il mio erede'". Ma cos'è stato Benvenuti per la boxe, soprattutto quella italiana? "Lui ha cambiato il modo di combattere - risponde Oliva -, con eleganza e stile. E poi ha dato lustro al pugilato, lo ha fatto conoscere, perché prima di lui c'erano pugili che non sapevano mettere insieme due parole e lui invece era una persona attraente, che sapeva parlare bene e come farsi ammirare". "Sì, Nino ha davvero ispirato tanti di noi - conclude Oliva-, e per me è stato il mio faro".