Ciclismo, il trofeo Matteotti: Taborre manca il podio ma in strada è festa / Video

Reichenbach vince di una ruota sul connazionale Tschopp che lo lascia andare, il gruppo a 48 secondi. Terzo Battaglin

PESCARA. «Iam» nel senso di «andiamo a vincere». Prendiamoci il Matteotti numero 67. Sul traguardo di piazza Duca, dove il caldo (anche qui) fa la selezione, sfilano in passerella due svizzeri. Primo Sébastien Reichenbach, 24 anni, primo anno da professionista e prima vittoria dopo il tredicesimo posto al Matteotti del 2011, con la maglia dell’Atlas. Secondo Johann Tschopp, 31 anni, il compagno di cordata che gli lascia una ruota e insieme l’applauso più lungo di questa sequenza di salite e discese che si perde per strada 67 ciclisti, sui 113 ai nastri di partenza, quasi due terzi. Terzo il vicentino Battaglin (Bardiani Valvole-Csf Inox) mentre il pescarese Taborre (Fanini Vini-Selle Italia), arrivato in volata con gli altri e settimo nell’ordine d’arrivo, manca il podio. Quarto è Leonardo Pinizzotto del Team Nippo-De Rosa, quinto Mauro Finetto della Fantini. Più staccati gli altri atleti di casa: 24° posto per Andrea Masciarelli (ritirato Simone), 42° per Matteo Rabottini. Qualcuno ora dovrà spiegare allo sponsor della Iam Ciclyng (l’unica squadra svizzera professionista) che domina il Matteotti, che «Iam» non è solo un fondo d’investimento. Per gli abruzzesi è «andiamo». Bastano pochi minuti agli svizzeri per fiutare l’aria e capire il dialetto di casa. Le maglie giallo-fluo della Fantini Vini-Selle Italia, del resto, le più attese dal pubblico assiepato lungo il circuito di 14 chilometri e mezzo da ripetere 13 volte, sembrano lasciarli fare. Mancando, così, un tris che avrebbe fatto storia, sopo i successi di Gatto nel 2011 e De Negri l’anno scorso. E così, la fuga partita da lontano, dall’ottavo chilometro di una gara che ti spezza in due, specie in salita, specie con questo caldo, diventa una passerella. Tschopp e Reichenbach alle 16 in punto sono sulla linea del traguardo, dopo 4 ore, 47 minuti e 22 secondi di gara alla media di 39,5 che se non è il termometro poco ci manca: sono la media oraria del vincitore. Vinco io o vinci tu? Sembra questo il labiale tra i due che quando si accorgono di aver seminato gli altri decidono di lasciare andare il più giovane. La scelta è di Tschopp. «Un sogno», dice Sébastien. «Un gran colpo e una gran soddisfazione», gli fa eco Johann.

La gara parte subito forte. Al secondo giro gli svizzeri sono già nel gruppo di testa formato da nove atleti. Tra questi Sella (che mollerà solo a tre giri dalla fine), Battaglin, Delle Stelle, Arredondo appaiono i più vivaci. Al terzo giro la media è di 41,038 km/h. Alle 14,40 Gatto dà forfait e ridiscende Colle Caprino al contrario. Per lui l’applauso è il frinire senza sosta delle cicale. Al nono giro vanno avanti in quattro: con gli svizzeri di cui sopra ci sono anche Sella e il kazako dell’Astana Continental Nepomnyachshiy. Il gruppo, dietro, va e viene a elastico: il ritardo arriva anche a 6’ ma poi viene ridotto con controffensive a più riprese. Fino allo stacco dell’ultima salita dove gli svizzeri si scrollano di dosso gli altri. E siccome il ciclismo è pur sempre salute, ecco la pacifica protesta del comitato «No antenne Pescara Colli» che mette nel mirino gli impianti per la telefonia mobile previsti in via Valle Furci. «Quarantotto su Pescara e 11 nuove antenne ai Colli: questo il piano al quale ci opponiamo con le forme democratiche: 1500 firme raccolte e mobilitazione permanente: non faremo ferie. Il Comune dovrà dare risposte chiare», spiega l’architetto Francesca Camilletti.

La corsa intitolata al martire antifascista Giacomo Matteotti si porta dietro l’immancabile polemica. Stavolta quella principale è di livello politico per l’accostamento con la figura di Gabriele D’Annunzio, almeno nel manifesto. Non manca, tra la gente e gli addetti ai lavori, il riferimento al «convitato di pietra» Danilo Di Luca. E alla gestione di quella squadra che avrebbe dovuto annoverare anche i due Masciarelli (poi accasatisi da Bordonali), Codol, Donati e due massaggiatori. Ma le scelte sono state altre. Le grandi manovre per la Fantini potrebbero portare a formare anche due squadre. Ma di questo si riparlerà presto. A fine gara Bettini, parlando dell’ormai famigerato Tour del 1998, taglia corto: «Voglio parlare di ciclismo e del Matteotti, dico solo che quell’anno è stato ed è di un grande campione che resterà sempre Pantani». L’oggi parla della consueta folla per le strade con le immancabili scritte che inneggiano a Taborre per quasi tutto il percorso. Gli vengono dedicati anche i divieti di sosta, personalizzati alla vernice nera. Si dà un gran daffare anche Angelo Giordani, papà del ciclista professionista Leonardo, che colora la strada di bianco sulla salita circondata di ulivi di Montesilvano Colle. Sotto i tigli di via di Sotto tavolini e sedie tirate fuori da casa per quel famoso «posto in prima fila».

Meno svizzeri, i due protagonisti del Matteotti 67, al momento della premiazione, quando si dileguano e lo speaker deve chiamarli più e più volte prima di vederli ricomparire lavati e pettinati sull’ammiraglia guidata dal ds Marcello Albasini che spiega così la giornata di gloria. «Volevamo la corsa, ce la siamo presa. Non bisogna sempre aspettare fino alla fine, no?». Il rettilineo finale di 3 km che di solito regala volatone da paura, premia uno scalatore che arriva mano nella mano col compagno di squadra. E lascia il gruppo a 48’’. «Iam», la parola magica.

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