Calcio

Con la scomparsa di Galeone Pescara perde un simbolo

3 Novembre 2025

È stato l’allenatore protagonista di due promozioni in serie A e di un periodo di progresso e sviluppo (gli anni Ottanta-Novanta) per la città

PESCARA. Un simbolo più che un allenatore. Un personaggio attorno al quale Pescara e i pescaresi si sono stretti per un’epoca: dalla metà degli anni Ottanta ad oggi. Giovanni Galeone è il Profeta per tutti a Pescara e in Abruzzo. Per chi ha vissuto quegli anni magici e per chi ha ascoltato il racconto delle sue gesta. Fasti di un’epoca irripetibile. Galeone ha vinto anche a Perugia, ha allenato in tanti posti, ma solo a Pescara è diventato il Messia. Più di un idolo. Più di un allenatore, un trascinatore. Quel personaggio che impersonificava la città negli anni dello sviluppo. Pescara era dinamica, audace e sognatrice: come il calcio di Galeone che realizzava quei sogni. Ha condotto una squadra partita per fare la serie C alla promozione in A. Ha portato i colori biancazzurri a vincere al Meazza e all’Olimpico. E chi non ricorda il 4-5 contro il Milan di Capello all’Adriatico? Era il 13 settembre 1992.

Era il Milan degli Invincibili. Al 23° minuto il punteggio recitava 4-2 per il piccolo Pescara, con 6 gol totali di una partita che poi ne regalò altri 3. Solo le prodezze di Van Basten piegarono il Pescara di Galeone. La tifoseria ai suoi piedi. Non solo gli sportivi, Galeone è entrato nella testa dei pescaresi. Sempre all’attacco con il suo marchio di fabbrica, quel 4-3-3 diventato simbolo di spregiudicatezza e coraggio. A volte anche presunzione. Due promozioni in serie A. Si prendevano e si lasciavano Pescara e Galeone. Come due ragazzini innamorati. E adesso che è passato tanto tempo ci si rende conto che eravamo tutti felici senza saperlo. Anche quando il tecnico era altrove i tifosi biancazzurri seguivano le sue squadre. C’erano i galeoniani, ma anche gli anti-galeoniani, perché il Profeta – come tutti i personaggi – divideva. Parlava di calcio, e non solo. Svariava su tutti i fronti. Una manna per i giornalisti, perché regalava sempre un titolo. Divenne amico del compianto Gianni Mura, ad esempio.

La sua figura era ingombrante. Per direttori sportivi e presidenti. Anche a Perugia dove arrivò a mettere in riga il vulcanico Luciano Gaucci. Mitiche quelle cene di metà settimana diventate leggenda. Conoscere Galeone o essere un suo amico era motivo di vanto. Negli anni gli hanno attribuito tanti flirt, ma lui quasi tutti i lunedì tornava a Udine dalla moglie, dalla Checca. Fino a pochi mesi fa al Centro ha confidato che gli mancava Pescara e il suo mare. La villetta di Francavilla dove abitava. L’ultima apparizione pubblica, qualche mese fa, a Perugia per la festa del Grifone. Era piuttosto claudicante.

Gli mancava Pescara, ma nelle ultime estati ha rinunciato a tornare da Udine perché non guidava più e perché non voleva macchiare il ricordo della sua immagine. Il suo fisico era stato scolpito dalla vecchiaia e lui non voleva farsi vedere in difficoltà. Uno degli ultimi a fargli visita in ospedale (alla vigilia di Udinese-Milan) è stato Massimiliano Allegri, l’allenatore del Milan, il suo figlioccio calcistico e non. Sposato, ma non aveva figli, il Gale: aveva un debole per Max, era il prediletto. Uno dei personaggi del calcio a cui era più legato. Uno di quei giocatori avuti alle sue dipendenze e poi diventati allenatori. Come Gasperini e Gattuso. E poi Massara e Goretti, direttori sportivi che ha cresciuto e con cui è rimasto in contatto.

L’inizio della storia d’amore. Era l’estate del 1986. Pescara in C, il Mondiale messicano un mezzo fallimento per l’Italia campione del mondo nel 1982. L’Argentina di Maradona conquista il titolo. E una squadra, quella biancazzurra di Catuzzi scesa in C, da ricostruire dopo una stagione disastrosa. Il deus ex machina è il cavalier Franco Manni, il ds, che decide di prendere Giovanni Galeone, tecnico emergente della Spal in C. “Mister, non c’è una lira”, la premessa. Non ci sono soldi, e nemmeno giocatori. I reduci della stagione precedente più qualche ragazzotto delle giovanili partono con i mezzi propri per Montefortino, nelle Marche. Campo spelacchiato. Condizioni precarie. Ma ecco il colpo a sorpresa: il Palermo ha problemi economici, non si iscrive e il Pescara viene ripescato in B. Un gruppo partito per la C che si ritrova in B, basta questo per scuotere la piazza e per alimentare entusiasmo. Un’estate rocambolesca. La squadra va.

Giovanni Galeone diventa settimana dopo settimana il Profeta, il 4-3-3 il credo, Rebonato anemico l’anno prima segna a raffica, 21 gol senza rigori; Pagano a destra e Berlinghieri a sinistra le ali che pungono. Arrivano vittorie. Imprese impensabili. La città viaggia sulle ali dell’entusiasmo. In porta c’è Gatta che nessuno conosceva in estate. Accade il miracolo. E lo stadio per l’ultima di campionato è pieno. 1-0 contro il Parma di Arrigo Sacchi firmato da Roberto Bosco e promozione in A. Un’apoteosi. In società entra il commendator Pietro Scibilia, patron della Gis, un calabrese trapiantato in Abruzzo. Arrivano Junior e Sliskovic. C’è Gasperini. Alla prima in serie A il Pescara vince al Meazza contro l’Inter. Batte la Juve di Trapattoni. Le parole di Galeone sono vangelo, la squadra regala spettacolo.

L’allora sindaco di Pescara Nevio Piscione chiama il tecnico per togliere il velo alla nuova stazione ferroviaria. La inaugurano di notte, il giorno dopo il taglio del nastro per tutti. Il Pescara si salva grazie alla penalizzazione dell’Empoli (-5). Ma il Pescara dà spettacolo. In estate il club tratta il brasiliano Romario dal Psv Eindhoven, ma arrivano Tita ed Edmar. La squadra parte bene, arriva a metà classifica, vince a Roma contro i giallorossi, poi crolla fino alla retrocessione. Incredibile, Come l’epopea gaeoliniana. Nel frattempo in città si crea il dualismo Scibilia-Galeone, uno geloso dell’altro. Il tecnico va via, a Como. Poi viene richiamato a Pescara a furor di popolo: prima la salvezza in B e poi la seconda promozione in A. È la stagione 1991-92. Arrivano Allegri e Massara dal Pavia dell’allora presidente Giusy Achilli. C’è l’ex Nazionale Ubaldo Righetti in difesa.

Un altro capolavoro: Galeone è il motivatore e il trascinatore. Non solo della squadra, ma di tutta la città. Ecco emergere i galeoniani, quelli che osano in tutti i settori della vita. Vanno all’attacco. Al tecnico nato a Napoli ma stabilitosi a Udine viene abbinato uno stile di vita. La città è divisa: galeoniani e non. In serie A la musica cambia. Scelte sbagliate, pensi di aver preso il Baresi d’Africa e invece è Roger Mendy. Squadra non all’altezza. Dopo 24 gare Galeone viene esonerato. E ad aprile del 1993 lo scoop del giornalista Walter Nerone sul Centro rivela quanto avvenuto alla fine della stagione precedente. Il tecnico fu coinvolto in un'inchiesta giudiziaria partita da una sua telefonata con Miriam Label, la "maga" genovese, dalla quale nacque il caso relativo alle scommesse sulla penultima partita del campionato di serie B 1991-1992 tra Taranto e Pescara, terminata 2-1, con il Pescara già promosso in Serie A e il Taranto bisognoso di vincere per raggiungere la salvezza.

Nel colloquio telefonico, quando la "maga" informava Galeone di avere appreso che c'era stato un intervento per alterare il risultato della gara Taranto-Pescara, il tecnico replicava che alcuni giocatori gli riferirono come, prima della gara, una persona chiamata il serpente (soprannome dietro cui, secondo l'accusa, si nascondeva l'allora direttore generale Pierpaolo Marino), li aveva invitati a non impegnarsi. La vicenda si concluse nel luglio del 1993 con la squalifica di Galeone per 8 mesi per omessa denuncia e di Marino per 3 anni, oltre a penalizzazioni in classifica per Pescara e Taranto. Nel 1999 in B riecco Galeone sulla panchina biancazzurra, ma non c’è più magìa e la squadra termina al 14° posto. Non viene confermato, ma poi torna nel novembre del 2000 per prendere il posto di Delio Rossi. Un prendersi e lasciarsi, come due innamorati che non trovano pace. Ancora oggi la parola del Profeta è vangelo per i pescaresi. Nel 2012 ci riprova Sebastiani: lo chiama e gli offre un incarico tecnico. Non proprio allenatore, ma una sorta di supervisore. Ma il Gale dice no. «Non è più il mio tempo», la risposta. I suoi sono stati davvero periodi indimenticabili.

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