Roberto D'Aversa, 44 anni. La carriera da allenatore è cominciata nel 2014 alla guida della Virtus Lanciano

L'INTERVISTA

D'Aversa: io, Parma e quel blitz a San Siro. Quest'anno voto Inter

Il tecnico gialloblù sportivo dell'anno al premio Marciano: "Conte in nerazzurro può dare del filo da torcere alla Juve"

PESCARA. È il primo significativo riconoscimento che il suo Abruzzo gli attribuisce. Questa sera a Ripa Teatina, con la consegna del premio Rocky Marciano, la sua terra renderà omaggio all’impresa di Roberto D’Aversa che è riuscito a meritarsi un posto nell’olimpo del calcio italiano. Lo sta facendo da allenatore, dopo averlo fatto da calciatore. Il tecnico pescarese – 44 anni da compiere il 12 agosto e mai profeta in patria, calcisticamente parlando - ha conquistato Parma, superando e sconfiggendo scetticismo e perplessità. Lo ha fatto riportando una nobile decaduta del calcio italiano dalla serie C alla A, tanto da essere insignito dalla giuria del Premio Marciano come lo sportivo dell’anno. Era un combattente da calciatore, lo è rimasto da allenatore. Non è il tipo che sappia “vendersi” bene mediaticamente, ma ha carattere ed è intelligente. Al primo anno di A ha superato brillantemente il banco di prova, perché di fatto non è mai stato in lotta per la salvezza pur avendo festeggiato la permanenza nella massima serie alla penultima giornata. Il Parma è sempre stato una spanna o più sopra le pericolanti.

L'abbraccio tra D'aversa e Gervinho, attaccante ivoriano del Parma

Ha saputo rilanciare un attaccante come Gervinho arrugginito dall’esperienza in Cina e valorizzare alcuni degli elementi arrivati dalla B. La società lo ha premiato con il rinnovo e l’adeguamento del contratto fino al giugno del 2022. Chiuso un ciclo, dovrà aprirne un altro. Una sfida continua. Un po’ come è stata la vita di Rocky Marciano, pseudonimo di Rocco Francis Marchegiano, nato da emigranti di Ripa Teatina.
D’Aversa figlio di emigranti riceve un premio intitolato a chi da emigrante ha conquistato gli States e il mondo del pugilato.
«Innanzitutto sono orgoglioso di salire sul palco di Ripa Teatina per ricevere un premio così prestigioso. Se vogliamo fare una similitudine può reggere solo per il fatto che io sono andato via di casa a 15 anni per cercare gloria nel mondo dello sport e che in precedenza sono nato all’estero perché i miei genitori sono emigrati per motivi di lavoro. Però, Marciano è una stella dello sport mondiale, non ci sono paragoni con la sua fama».
Se non avesse sfondato nel calcio che ne sarebbe stata della sua vita?
«Non lo so, chiaramente la mia passione per il calcio che mi portava sin da bambino a giocare sempre sotto casa è stata determinante. Non mi sono creato alternative. Detto ciò, ho comunque conseguito un diploma di perito elettronico, avendo prima frequentato il Volta a Pescara e poi finito gli studi a Varese. Penso che avrei insistito negli studi se non fossi diventato un professionista. Non mi sono iscritto a Scienze Politiche perché non potevo frequentare. Però, vorrei sottolineare come oggi calcio e studi possono comunque andare insieme a braccetto, l’uno non esclude l’altra».
C’è stato un bivio nella sua vita che l’ha portato a essere quello che è?
«Probabilmente, quando ero alla Berretti del Milan e non giocavo. Chiamai a casa, perché volevo rientrare. A quei tempi tornavi dai cari una volta ogni sei mesi… Per fortuna, i miei genitori e mio fratello mi hanno esortato a insistere e a portare pazienza. È stata una piccola crisi, dovuta all’età, che ha rappresentato un bivio della mia vita».
Come ha ritrovato la città di Pescara?
«Bene, mi fa piacere che sia diventata la seconda città più vivibile d’Italia, questo significa che, pur non avendo bellezze artistiche, è interessante e godibile. Basti pensare alle tante persone che passano di qui e poi finiscono per stabilirsi. L’unica cosa che farei è quella di sfruttare ancora meglio il mare».
Fuori dal calcio quali sono le passioni che riesce a coltivare?
«A me piace il tennis, a Parma però in tre anni sono riuscito a giocare due ore. Questo la dice lunga sul lavoro che è totalizzante per un allenatore. Altresì va detto che a volte è importante staccare ogni tanto perché ti fa recuperare lucidità nella professione».
Qual è stata la partita più bella del suo Parma nella passata stagione?
«A livello di gioco, quella iniziale in casa contro la Juve, nonostante abbiamo perso. Ci ha dato certezze. A livello di soddisfazione, la vittoria di San Siro contro l’Inter, perché da lì abbiamo iniziato un cammino che ci ha portato al settimo posto in classifica alla prima di ritorno. E, poi, infine il pari in casa della Juve. Mica roba da tutti i giorni, anche per il modo in cui è arrivato. In maniera insperata».
Dopo la scalata dalla Lega Pro alla serie A con relativa salvezza non era finito un ciclo a Parma?
«Si è chiuso un cerchio in maniera positiva. E ora si riprogetta un altro percorso nella speranza di conseguire le stesse soddisfazioni».
Un giorno le piacerebbe allenare all’estero?
«Sì, perché sono esperienze che ti arricchiscono. Ma c’è tempo, prima di tutto occorre crescere professionalmente e poi bisogna imparare la lingua. Per un allenatore farsi capire è fondamentale».
Da Lanciano a Parma come è cambiato D’Aversa?
«Fondamentalmente, a livello caratteriale sono sempre lo stesso. Quell’esonero fa parte del percorso di un allenatore, fa esperienza. Capisci determinate cose, anche a livello di rapporti umani. Quando le cose vanno bene tante persone ti sono vicine, quando, invece, vanno male capisci valori delle persone che ti circondano. Credo molto nel rispetto e nei valori umani di un gruppo di lavoro».
Ci pensa a quando avrà di fronte l’Inter del suo amico Conte?
«Sarà una partita difficile, indubbiamente. Ma non ci ho ancora pensato all’incontro con Antonio in mezzo al campo. Certamente è vero che le persone si trasformano quando inizia la partita».
Sarà ancora la serie A della Juventus?
«Io credo che l’Inter con l’avvento di Conte in panchina possa metterla in difficoltà. Però, come struttura la Juve mi sembra ancora avanti».
D’Aversa dopo il primo anno fatto bene, può consacrarsi in serie A.
«Sarà più difficile, questo è poco ma sicuro. Quando si sale dalla B c’è entusiasmo della matricola che ti spinge. E magari gli avversari, inconsciamente, ti possono sottovalutare. Questo, poi, però, non accade più. Ripartire con il piglio giusto sarà determinare».
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