Calcio serie B

Danilo Ronzani, il doppio ex: «Piazze calde, sfida bollente»

5 Dicembre 2025

Verso Bari-Pescara. Il terzino anni Ottanta stabilitosi in città: «La palla scotterà tra i piedi dei giocatori, servirà carattere». (Nella foto, Danilo Ronzani e Diego Maradona)

PESCARA. Sei anni a Bari e tre a Pescara: Danilo Ronzani fa parte di quell’ampia schiera di doppi ex sull’asse Bari-Pescara. Originario di Velletri, oggi a 66 anni vive a Pescara con la figlia sedicenne, Aisha. Fa il pensionato. «Il calcio non mi piace più, non seguo molto. Anche se Bari e Pescara fanno parte di me e sono al corrente di tutto. Vedo la Champions, qualche grande sfida. Ma non più come una volta. Troppo business, noi eravamo abituati a giocare con il cuore. Adesso è tutto diverso». Fatta questa premessa, lunedì si giocherà Bari-Pescara. «Sono due piazze accattivanti, ma esigenti», sostiene l’ex terzino fine anni Settanta-Ottanta. «Quando le cose non vanno bene è dura. Pescara è partita per la salvezza, il Bari per lottare per obiettivi più ambiziosi, ma il prodotto è lo stesso. Male, malissimo. Hanno entrambi cambiato allenatore, ma certe stagioni sembrano segnate».

Quindi? «Lunedì la palla scotterà tra i piedi dei 22 giocatori in campo. Nessuno può permettersi il lusso di perdere. Entrambe le formazioni devono vincere. Sfida vitale».

A Bari è arrivato nel 1978, dalle giovanili del Velletri. Primo stipendio 150 mila lire al mese più vitto, alloggio e qualche bonus. Era il Bari dei baresi. Coppa Italia Primavera nella stagione 1980-81 grazie al 2-0 sul Milan allo stadio Delle Vittorie. Pasta con i ricci di mare e qualche bravata da ventenne. «In quella nidiata di baresi, mi dovetti adeguare. Ho dovuto imparare il dialetto. Eravamo un bel gruppo, ed abbiamo un grande rapporto, ancora oggi».

L’annata 1981-82 è rimasta stampata nella memoria collettiva dei tifosi baresi: «Gli stessi ragazzi delle giovanili vennero portati in blocco in prima squadra. E stupimmo tutti grazie al compianto Enrico Catuzzi. Il mister era il numero uno, e noi giocavamo a memoria. Arrivammo vicinissimi all'obiettivo. Eravamo giovanissimi, emeriti sconosciuti, e spiccammo il volo. Fu un vero peccato non arrivare alla A».

Dopo aver sfiorato il sogno, arrivò inaspettato il crollo, con l’inopinata caduta in C, nel 1982-83: «Venne inserita gente importante, su un telaio collaudato. Ma fummo molto sfortunati. Sbagliammo 6 rigori in campionato, andò tutto per il verso sbagliato. Neanche l’arrivo di Radice riuscì ad evitare il disastro».

Poi, un anno a San Benedetto del Tronto ed eccolo a Pescara, nel 1984, richiesto da Catuzzi. Prima stagione ottima con record di presenze in serie B, seconda da dimenticare con la retrocessione in C, la terza è nota a tutti. È quella di Giovanni Galeone in panchina con il Pescara che inizia la stagione in C, viene ripescato in B per via della mancata iscrizione del Palermo e poi viene promosso in A. «Un’annata indimenticabile. Si creò un’alchimia incredibile tra i calciatori e l'allenatore. Galeone era uno di noi, ma se giocavamo così bene il merito fu anche di Catuzzi, un vero cultore del calcio offensivo e organizzato».

«Nel 1993, a 33 anni, ho chiuso con il calcio professionistico a Suzzara. Non avevo più voglia di girare l'Italia. Così, ho aperto un’attività a Mantova e sono rimasto lì per un po' di tempo. Poi ho deciso di tornare a vivere in Abruzzo, dove mi sono trovato sempre benissimo». «Potrei dire tante cose», sostiene oggi, «ma se sono rimasto a vivere qui e ormai sono un pescarese d’adozione non c’è bisogno di spiegare il legame con questa città e con questa piazza». Nell’aprile del 2017, a 57 anni, è tornato in campo, in Prima categoria con la Virtus Pescara. Oggi fa il pensionato.