Calcio serie A

Di Francesco, il nuovo corso: «Sono stufo dei complimenti, voglio la salvezza a Lecce»

4 Agosto 2025

L’allenatore abruzzese: «Sono legato al pubblico della Roma, ma io tifo Pescara Mi rivedo in Frattesi, il mio amico è Montella, affezionato a Berardi»

Eusebio Di Francesco ci riprova. Dopo due retrocessioni di seguito, a Frosinone e a Venezia, cerca la salvezza a Lecce. Ostinato e testardo il tecnico abruzzese originario di San Giovanni Teatino. In fase calante se si ripensa alla semifinale Champions con la Roma del 2018, ma non più integralista. Oggi insegue il risultato, ovvero la permanenza del Lecce in serie A, a costo di sacrificare lo spettacolo. È stufo dei complimenti. Chi non lo sarebbe dopo due retrocessioni all’ultima giornata? Stavolta vuole versare lacrime di gioia, non di delusione e rabbia. A Lecce è tornato dopo 14 anni. Era il 2011, sempre in serie A, ma fu esonerato a dicembre. Ora ci riprova con la benedizione del deus ex machina Pantaleo Corvino.

Le ultime delusioni. «Due retrocessioni di fila sono state due botte tremende. Ho lavorato molto su me stesso per superare le delusioni. Negli anni mi sono fortificato anche frequentando uno psicologo. Ho collaborato con professionisti che mi hanno aiutato nella comunicazione. Mi hanno permesso di assorbire le sconfitte e trasmettere messaggi corretti ai giocatori».

Il ritorno a Lecce. Nel 2011 lasciò il Pescara in B per rispondere alla chiamata di Fenucci, amministratore salentino. Era il Lecce di Cuadrado e Muriel, ancora giovanissimi, e di Massimo Oddo. «Il club di allora era in autogestione», racconta Eusebio di Brancesco dal ritiro di Bressanone, «oggi la società è solida e strutturata. Io ero alla prima esperienza in serie A da allenatore. Ho attraversato momenti belli e brutti, sono cambiato, e mi sento di stare ancora crescendo. Come faccio? Resto curioso, amplio le mie vedute. Mi definivano integralista, ma non mi sentivo così. I giovani parlano di gioco e di costruzione, io non facevo eccezione. Ma il mio obiettivo è sempre stato il risultato, non l’estetica. Oggi cerco di mettere più a loro agio i calciatori. Al centro non ci sono i moduli, ma l’intensità di gioco. Non esistono più i giocatori che passeggiano. Il modello è il Psg: corrono tutti, senza prime donne. Insieme, ma corrono tutti».

Io e mia moglie. A 55 anni è papà, marito e nonno. Aveva 18 anni quando ha incontrato Sandra, la donna (trentina) della sua vita, madre di tre figli, anch’essa nonna di quattro nipoti. «Conobbi Sandra a un ricevimento di un matrimonio», racconta, «dissi subito al mio padrino di battesimo che le avrei chiesto di uscire il giorno dopo. E così fu».

No social. Non ha profili social Eusebio Di Francesco. «Non li ho, ma non condanno chi li ha. I social non mi appartengono. Tengo al rapporto personale, al colloquio faccia a faccia. Non sopporto chi usa i social per fare del male alla gente».

Su Camarda. Di Francesco ha tra le mani un talento, quel Francesco Camarda, 17 anni, che il Milan ha mandato a Lecce per maturare. «Vediamo se è pronto. Di sicuro ha una gran fame, anche troppa. Si dispera per ogni gol sbagliato. Ma l’errore è parte del processo di crescita».

All’estero. Prima o poi conta di fare un’esperienza oltreconfine. «Guardo le serie tv per migliorare l’inglese, ma non è il momento. In Italia, oltre ai figli, ho quattro nipoti. Mia moglie penso che mi seguirebbe».

L’uso del cellulare. «Sono passato dalla hall dell’albergo e nessuno mi ha guardato in faccia, erano tutti sullo schermo. A cena, in squadra e in famiglia, pretendo condivisione: cellulari in tasca e si chiacchiera. Sì, ci sono delle regole, ma ce le teniamo per noi».

L’impresa più difficile. «La semifinale di Champions del 2018 con la Roma è ancora oggi una ferita aperta. Se solo ci fosse stato il Var … soprattutto al ritorno, per quel mani sul 2-2. Non mi passa. E della stagione dei quarti di Coppa Italia col Frosinone (successo al Maradona contro il Napoli, ndr) resta il rimpianto della retrocessione. Scelgo l’Europa League col Sassuolo».

L’erede. Chi è il Di Francesco di oggi? «Davide Frattesi. Se è indeciso fra rimanere all’Inter o partire, la soluzione gliela do io: venga a giocare in Salento, che si sta bene».

Più risultati. Ha fame, ha voglia Eusebio Di Francesco. «Dopo Roma ho sbagliato delle scelte, solo colpa mia. Troppa voglia di rivincita. Oggi cerco di andare a riprendermi quello che ho lasciato un po’ per strada: prima di tutto i risultati. Quello che sta mancando un po’ di più a me – che è anche l’obiettivo del Lecce – è arrivare all’obiettivo finale». Di Francesco ha poi aggiunto: «I complimenti fanno piacere, certo, ma poi conta raggiungere gli obiettivi. Sono grato a chi mi dà questa possibilità». Da dove ripartirà il nuovo Lecce? «Dall’integrità morale e dalla serietà: sono cose a cui tengo tanto e che chiedo ai miei giocatori. Bisogna dimostrare senso di appartenenza, è una professione e bisogna viverla come seconda pelle».

Gli amici. Nel mondo del calcio l’amico è Vincenzo Montella. «Siamo rimasti in buoni rapporti dall’esperienza di Roma e ci sentiamo spesso. Siamo amici. Nel calcio parlo con Grosso, D’Aversa e altri colleghi abruzzesi con cui ho più confidenza. Per il resto, ho grande rispetto per tutti».

Tifo. Eusebio Di Francesco è tifoso del Pescara, lo tiene a ribadire. «La Roma? Sono legato ai tifosi e ai compagni di allora, primo fra tutti Montella. Ma la squadra del cuore resta il Pescara. Per mio figlio Federico (attaccante del Palermo, ndr) è diverso: Totti lo faceva sedere sugli armadietti e stravede per i giallorossi; il secondo anche tifa Roma, mentre il terzo tifa per il papà e per il Pescara».

A chi è affezionato. Il giocatore a cui è più legato è Domenico Berardi, attaccante del Sassuolo. In pratica, l’ha fatto crescere e poi.... «Lo volevo portare alla Roma, ma lui dimostrò carattere. Disse no perché non si sentiva desiderato dalla dirigenza. “Con te verrei ovunque, ma per la società non sono una prima scelta”. E rimase al Sassuolo. Ci sentiamo spesso e spesso mi fa gol da avversario. E ogni volta mi dice: “Me l’hai insegnato tu”. Altro giocatore a cui sono legato è Acerbi, mi ringrazia per una lezione: lo tolsi dal campo al 13’ del primo tempo in amichevole. Se lo meritava».

Eusebio. Papà Arnaldo lo chiamò Eusebio per via della passione che aveva per l’attaccante portoghese. «Lo incontrai a Valencia», ricorda Eusebio Di Francesco, «facemmo una foto insieme. Mio padre ci teneva, ma l’ho persa dalla memoria del telefono. Da allora, le foto le faccio stampare: della tecnologia mi fido poco».

Il telepass. «Ho il terrore della barriera autostradale. Una volta ero con Mangone, mio compagno alla Roma, eravamo sulla sua Porsche: dimenticò di aver lasciato a casa il Telepass e sfondammo la sbarra al casello. Da allora rallento un chilometro prima. C’è scritto 30? Vado a 25».

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