Galeone e il ricordo di De Leonardis: Aggradi ci consigliò il tecnico. L’ingaggio? 55 milioni

Il primo presidente del Profeta a Pescara: «Prosperi e gli esperti gli suggerirono di virare verso la zona»
Panfilo De Leonardis è un signore di 82 anni con la mente lucidità, un pozzo di san Patrizio tra ricordi e aneddoti. E’ stato il presidente del Pescara a metà anni Ottanta. «Eravamo i quattro dell’Ave Maria: io, Taraborrelli, De Cecco e Marinelli. Ci scambiavamo i ruoli e a fine anno mettevamo mano al portafogli», ricorda dopo quattro decenni. «Mi fece entrare Marinelli. Io ero presidente del Villa Santa Maria di Spoltore. Feci sette-otto anni». Nell’estate del 1986 il Pescara era retrocesso in serie C. «Retrocesso e pieno di debiti. Non c’era una lira». Quindi Panfilo De Leonardis è stato il primo presidente di Giovanni Galeone a Pescara, l’ex tecnico biancazzurro scomparso domenica a Udine. «Esattamente. Chiesi a Franco Manni di approntare un programma il più economico possibile per ripartire. Fu Piero Aggradi, che era il ds del Campobasso, a consigliare a Manni il nome di Giovanni Galeone. E Manni mi fece tre nomi, scegliemmo Galeone perché era il più economico e fummo subito chiari».
Ovvero?
«Patti chiari amicizia lunga, qui non ci sono soldi. Non è possibile chiedere giocatori. Bisognava arrangiarsi con quelli che c’erano più gli altri della Primavera guidati da Edmondo Prosperi che, non a caso, diventò l’allenatore in seconda proprio perché conosceva i tanti ragazzi promossi in prima squadra».
Soldi quanti?
«Ingaggio di 55 milioni di vecchie lire. E comunque a far pendere l’ago della bilancia verso Galeone fu anche il fatto che, in precedenza, aveva lavorato in alcuni settori giovanili. Stiamo parlando di un grande allenatore e una persona a modo, elegante. Amante del bello con cui ho avuto un bel rapporto».
Si parte.
«Con tutti i problemi che sono riemersi nei racconti di questi giorni. Tanti problemi. Alle prime partite c’erano 300 persone. Poi, un po’ alla volta, c’è stata l’escalation».
I rapporti con Galeone? «Buoni, professionali. Era un dipendente e non volevo mischiare i ruoli. Venivamo da una retrocessione. Lui aveva i suoi giri di amicizia in città. Io altri. Ci vedevamo il giovedì, dopo la partitella di metà settimana. Andavamo al ristorante ai Colli e facevamo il punto della situazione».
Galeone si integrò bene in città.
«Molto bene, faceva le sue serate, niente di male per carità. Non è che ci facessero impazzire, ma a noi in società interessavano i risultati e l’entusiasmo della piazza. Venivamo dalla scottatura della precedente stagione. Dalla retrocessione e dalle contestazioni. E Galeone stava assicurando risultati e passione popolare. Tutto bene. Era una garanzia sotto questo punto di vista».
La partenza?
«Buona, ma non eccellente. Galeone all’inizio non giocava a zona. Noi, invece, con Catuzzi, in precedenza la facevamo in prima squadra e in Primavera. E così Prosperi e alcuni cosiddetti esperti consigliarono a Galeone di cambiare metodo di gioco. E lui da uomo e tecnico intelligente quale era prese la palla al balzo e modificò l’assetto. Per carità, ci mise del suo. Non voglio togliergli dei meriti».
Nessun rinforzo.
«Ad onor del vero, facemmo un piccolo sacrificio per prendere Minguzzi, il secondo portiere che doveva fare da chioccia a Gatta».
Era il Pescara di Rebonato.
«Stefano aveva dei problemi all’epoca. Noi della società e lo stesso Galeone lo marcammo stretto, gli facemmo capire che aveva la nostra fiducia. Ci fu un lavoro psicologico, oltre che tecnico e tattico».
E il Pescara prese il volo.
«La storia la conoscete. Di bene in meglio. Alla fine riempimmo lo stadio e arrivò la promozione in serie A».
Sempre lei al timone.
«Sì, il mercato lo feci io con i miei collaboratori (Manni e Alberti)».
Arrivarono Junior e Sliskovic.
«Leo era svincolato dal Torino, lo pagammo 100 milioni. E gli stessi soldi andarono al Marsiglia per il cartellino di Baka».
Cambiò la proprietà del Pescara.
«L’allora sindaco Piscione ci presentò il commendator Pietro Scibilia, pronto a entrare in società. Le nostre esposizioni finanziarie scadevano a fine stagione sportiva, il giugno successivo. Ma Scibilia pose come condizione il diventare subito presidente. E così lui presidente e la stagione successiva subentrò alle nostre garanzie».
A quei tempi ci si rimetteva?
«Certo».
Nessun beneficio a livello imprenditoriale e lavorativo?
«Qualche vantaggio c’era. Piccolo, ma c’era. Ma il saldo era sempre passivo. All’epoca, parliamo di anni Ottanta, c’era sentimento. C’era la voglia di fare qualcosa per la propria città. Era diverso da oggi. Ci sono i fondi stranieri che vengono a speculare. Ci sono i presidenti di professione….».
Quanto costava un campionato serie A all’epoca?
«Le cifre non le ricordo. Ma i nostri ingaggi non superavano i 150 milioni l’anno».
Sebastiani?
«Daniele lo conosco bene, mi faceva i leasing. Mi ha trasmesso la passione per la bicicletta. Al netto delle peculiarità caratteriali, condivido la sua politica societaria. A fine stagione tutti vanno in vacanza, ma il presidente non va in ferie perché deve chiudere i conti».
Nostalgia del calcio?
«Mica tanto».
Prima partita in serie A e il Pescara va a vincere al Meazza di Milano contro l’Inter per 2-0.
«Ero in panchina quel giorno. Grande soddisfazione. Ci sottovalutarono e fecero un grosso errore. Non ci conosceva nessuno, poi, un po’ alla volta, hanno imparato come giocavamo ed è stata più dura».
Come ricordare Galeone? «Non lo so, spetta ad altri decidere. Giovanni è stato un gran personaggio. Sento parlare dello stadio, ma è già intitolato a Giovanni Cornacchia. Magari ci sarà un altro modo...».
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