LUTTO

Il calcio piange Labadini stroncato dalla Sla 

Ex centrocampista del Chieti dal 1992 al 1995, si è spento a 54 anni dopo una lunga malattia

CHIETI. Era talentuoso ed elegante. Un sinistro che dava del tu al pallone come pochi. Un numero 10 che dal calcio ha ottenuto meno di quanto meritava. Per tutti era “Laba”, Roberto Labadini, 54 anni, scomparso giovedì pomeriggio a causa della Sla che l’ha consumato negli ultimi anni. Una vita sui campi di serie C. Anche a Chieti dove ha giocato negli anni Novanta. Impossibile dimenticare la sua maglia fuori dai pantaloncini, come il suo idolo Platini, e le giravolte su stesso per saltare l’avversario. Lui li chiamava “turcinelli” adattando la sua cadenza lombarda al dialetto abruzzese. Non molto dinamico, ma tecnicamente ammaliante. Più regista che trequartista.

Se n’è andato in silenzio, rifiutando di combattere la malattia che l’ha travolto. Alla tremenda diagnosi dei medici s’è opposto in maniera passiva. Rifiutando le cure e l’ospedale, dove entrava solo quando c’era davvero bisogno e per pochi giorni al massimo. Lo stretto necessario. Giusto quando la terribile sclerosi laterale amiotrofica, incubo di tanti calciatori, stava cominciando a consumarlo e ad accompagnarlo senza pietà verso la morte. A Chieti era arrivato nell’estate del 1992, dopo essere stato svincolato dal Chievo. Un rinforzo che il compianto patron Mancaniello e il dg Garzelli misero a disposizione di mister Gianni Balugani. Alla seconda giornata del campionato di C1 subito in gol, all’Angelini, contro il Messina (1-1). Ma Labadini resterà sempre quello del gol della salvezza a Palermo, all’ultima giornata contro i rosanero di Orazi già promossi in B. Magistrale la sua punizione dal limite per il gol del momentaneo vantaggio. In neroverde restò per altri due anni, ma durante la stagione 1993-94 si fece male. La squadra retrocesse, ma venne ripescata. Fu ancora C1. Lui rientrò a pieno regime a campionato in corso. Il Chieti partì male e poi, con il ritorno di Balugani in panchina, cercò – con una grande rincorsa _ una salvezza diretta sfuggita all’ultima giornata e poi sfumata ai play out contro l’Ischia. Personaggio mite e riservato. Marlboro immancabile tra le mani e sempre a giocare a carte nel tempo libero.

Era rimasto legato all’Abruzzo, amava gli arrosticini e il mare di queste parti. Un po’ alla volta, però, certi rapporti si sono consumati. Sono diventati sempre più saltuari, fino a quando ieri mattina la nota di cordoglio del Chievo ha tolto il velo da un’agonia che si è consumata all’insaputa di tutti, perché Roberto Labadini aveva scelto di vivere il suo dramma in silenzio. Nel calcio era rimasto allenando tra i dilettanti, anche il Codogno. Del calcio il suo migliore amico, quel Bobo Gori, attaccante, l’unico a cui ha concesso di restargli al fianco fino alla fine. Da ragazzo, aveva 17 anni, la grande occasione al Cagliari, in serie A, nella stagione 1982-83, dopo la sbornia del Mondiale vinto in Spagna dagli azzurri. Era il Cagliari di Uribe e Victorino e “Laba” non riuscì ad emergere. Poi Pro Patria (C2) e Prato (C1), dove ha lasciato il segno dal 1985 al 1990. Nella squadra che sfiorò la serie B brillava il suo talento, era stato già venduto alla Sampdoria quando, però, si ruppe il crociato. E saltò tutto. Al Chievo dal 1990 al 1992, in tutto 67 presenze e cinque gol. Poi, i tre anni al Chieti, Pro Patria, Ospitaletto e i dilettanti. Sempre giocando a testa alta.
I funerali si sono svolti a Castiglione d’Adda, in provincia di Lodi, dove Roberto Labadini è stato accudito fino alla fine dalla sorella Francesca.
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA