L’AMARCORD»L’EX ATTACCANTE DI TOLLO SI RACCONTA
TOLLO. I baffi sono quelli di sempre, li porta a spasso per Tollo, il suo paese dal quale non si è mai staccato. Oggi Roberto Ciccotelli, 66 anni, è un pensionato che si gode la famiglia e appare...
TOLLO. I baffi sono quelli di sempre, li porta a spasso per Tollo, il suo paese dal quale non si è mai staccato. Oggi Roberto Ciccotelli, 66 anni, è un pensionato che si gode la famiglia e appare piuttosto distaccato dal calcio. Si accende solo ricordando quei due anni giocati in serie A, a Perugia, dal 1975 al 1977. La tappa più prestigiosa di una carriera partita dalla Mezzanotte di Pescara. Era un bambino Cicco-gol: faceva prima l’autostop partendo da Tollo e poi prendeva il pullman per raggiungere Pescara. E così al ritorno. In Abruzzo ha giocato per tanti anni a Giulianova, oltre che nella sua Tollo.
Ciccotelli, segue il calcio?
«Poco e niente, non mi attira più di tanto. A me piacciono le partite tirate, quelle intense sul piano agonistico. Ora c’è troppo possesso palla, vince sempre la tattica sulla tecnica e sulle giocate in velocità».
Qual è il calcio che le piace?
«Quello di Guardiola, prima al Barcellona e poi al Bayern».
Due anni in serie A, a Perugia. Come ci è arrivato?
«Il Perugia era appena stato promosso, voleva prendere Chimenti dalla Sambenedettese, ma non ci riuscì. E allora intervenne Dante Fortini, un perugino che mi aveva allenato a Giulianova e che mi consigliò al Grifone».
Il primo anno?
«Giocai poco, avevo davanti Scarpa, Pellizzaro e Novellino. Meglio il secondo. In totale feci sei gol, tutti in casa».
Il più bello?
«Alla mia Inter. Sono tifoso nerazzurro, ma provai una grande gioia quel giorno. Quando si va in campo non si guarda in faccia a nessuno...».
Rimpianti?
«Macché, felicissimo. Avrei pagato di tasca mia pur di giocare in serie A. Ci sono arrivato tardi, a 28 anni, ho toccato il cielo con un dito».
A Perugia è stato con il compianto Renato Curi, morto il 30 ottobre 1977 in mezzo al campo.
«Era come un fratello minore, avevamo giocato insieme già a Giulianova. Sei anni insieme. Mi viene da piangere solo a ripensarci. La mamma me l’aveva affidato: “Mi raccomando”, diceva, “dai un occhio a Renatino”. Quel giorno lui è morto in campo e io ero in tribuna. La sua scomparsa mi ha segnato, per alcuni anni non ci ho capito più niente. Tant’è che poi a Terni non combinai granché».
Ciccotelli era una seconda punta.
«Sì, potevo fare tutti i ruoli dell’attacco. Potenza, scatto e tiro le mie qualità. Giovanbattista Fabbri, a Giulianova, mi aveva completato come giocatore. È quello che mi ha dato di più».
A quell’epoca quanto si guadagnava?
«Il Perugia era neopromosso e imbottito di giocatori alla prima esperienza in A. C’erano pochi esperti, tra cui Aldo Agroppi. Il più pagato non andava oltre i 25 milioni».
Era il Perugia di Castagner.
«Sì, Castagner in panchina e Ramaccioni direttore».
Bei tempi.
«Un’altra bella emozione l’ho vissuta nell’ultima giornata della stagione 1975-76. Perugia-Juve 1-0 con gol di Renato Curi. Io ero in campo e con quella sconfitta la Juve perse lo scudetto. Sarebbe stato spareggio se avesse vinto perché il Torino, che era avanti di un punto, aveva pareggiato in casa. Ricordo Furino a fine partita: dava capocciate ai muri dello spogliatoio. Vennero tanti amici juventini da Tollo, quel giorno. Quante me ne dissero...».
Ha conservato amicizie?
«No, io sono piuttosto riservato. Pensavo a giocare e alla famiglia. Aiutavo mia moglie a casa con i figli piccoli. Non facevo la bella vita».
Il giocatore più forte con cui ha giocato?
«Novellino era forte, ma Titti Savoldi, fratello di Beppe, lo era ancora di più. Giocò con me a Giulianova».
Il mondo del calcio non le appartiene più?
«Ogni tanto rivedo quelli del Giulianova per qualche cena. Per il resto, mi hanno inserito nel direttivo della Tollese (Prima categoria, ndr) e la domenica, quando posso, la seguo. C’è Rocco Pagano che è ancora uno spettacolo».
Niente calcio in tv?
«No, la domenica viene a casa mio nipote Roberto, mi dedico a lui. Ripeto: non mi attira più questo calcio, è troppo legato al business».
E se ripensa al suo calcio?
«Era più duro per gli attaccanti. Si marcava a uomo all’epoca. Il difensore ti seguiva anche negli spogliatoi. Adesso, non si marca più a uomo. È tutto diverso».
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