Nicola Legrottaglie nella redazione del Centro (foto Giampiero Lattanzio)

L'INTERVISTA

Legrottaglie: «Prego, alleno e amo. Io, atleta di Cristo che punta alla serie A» 

Il tecnico: «Voglio un Pescara aggressivo e caparbio. Non sono una meteora, qui si potrebbe aprire un ciclo» 

PESCARA. Dio è la sua stella polare. L’amore per Gesù la sua benzina. Nel mondo del calcio – che a volte sembra una bolla – vi sono personaggi che si apprezzano a prescindere: Nicola Legrottaglie, l’allenatore del Pescara, è uno di questi. L’amore è un misto di pazienza e caparbietà. Le cose facili non sanno di felicità e per Nicola da Mottola la ricerca della felicità passa da questi due fattori. La pazienza di saper aspettare l’occasione giusta e la caparbietà di credere fino in fondo nel suo lavoro, come ha raccontato al Centro durante la diretta Facebook disponibile sul sito www.ilcentro.it.
Legrottaglie, domenica sera, a Crotone, calcolando i tanti infortunati, che Pescara vedremo?
«Abbiamo qualche problema, ma spero di recuperare tutti. Chi giocherà, comunque, darà il cuore per il Pescara e questa cosa mi far stare tranquillo. Ci vuole positività, sempre».
Peccato per la sua squalifica.
«Sì, perché non sarò in campo. Contro il Cittadella non ho insultato l’arbitro e sono stato punito per la troppa irruenza in panchina. Se ho sbagliato, chiedo scusa».
Che partita farà il Delfino in Calabria?
«Non da sprovveduti. Dobbiamo essere equilibrati e capire come far male al Crotone. I nostri avversari non possono pensare di avere vita facile con il Pescara. I calabresi giocano bene e mi hanno impressionato, ma noi siamo pronti per fare la nostra partita. Senza paura. Nel calcio la paura non serve, è come un laccio alle gambe e non va bene».
Tra 10 anni dove si vede?
«Spero di allenare ancora e di continuare ad essere un punto di riferimento per i giovani».
Di Legrottaglie ha colpito la mentalità che ha dato alla squadra. È d’accordo?
«Voglio vedere un atteggiamento aggressivo e di grande intensità, sempre. Il mio Pescara è quello visto contro il Pordenone».
L’obiettivo play off è sempre vivo?
«Bisogna credere sempre negli obiettivi. Si inizia con la salvezza, poi i play off e poi la promozione in A. Dobbiamo sempre puntare al massimo, quindi certo che credo ai play off. E poi vedremo quello che succederà. Siamo lì a pochi punti dall’ottavo posto e possiamo recuperare terreno. Se teniamo botta in questo momento di difficoltà e, se tra 4-5 partite saremo al completo, allora saremo la mina vagante della serie B».
La partenza di Machìn le ha dato fastidio?
«Non mi sono strappato i capelli. Rispetto le scelte degli altri. Ha scelto di andare via e andremo avanti senza di lui. Sono i giocatori che decidono, non le società».
Bojinov come sta?
«È un giocatore che quando si accende è un fenomeno. Il problema attuale è solo relativo alla costanza nell’arco della partita. L’unico dubbio che ho è sul minutaggio e ci vorrà del tempo affinché aumenti. Dobbiamo sfruttare le sue qualità facendolo crescere gradualmente».
Si sente l’allenatore del futuro?
«Mi piacerebbe aprire un ciclo qui. Non voglio essere una meteora e sarebbe bello costruire qualcosa di bello a Pescara, ma dovrò dimostrarlo sul campo. Il mio intento è quello di restare qui per qualche anno, creando un bel progetto».
Quando ha capito di voler fare l’allenatore?
«Sinceramente non avrei mai pensato di fare questo mestiere. Quando giocavo per troppi anni sono stato lontano da casa, troppe rinunce e troppi viaggi. Volevo tornare alla normalità, ma tutti mi dicevano che dovevo allenare. Al Catania, negli ultimi anni di carriera da calciatore, c’era il gruppetto degli argentini, specie Andujar ed Izco, che mi diceva: “Nicola tu sei già allenatore in campo. Quando smetterai il tuo posto sarà in panchina”. Così è stato. Ho fatto il corso Uefa B e ho iniziato ad allenare nelle giovanili del Bari, nel 2014».
L’allenatore che le ha dato qualcosa in più durante la sua carriera da calciatore?
«A livello tattico Gigi Delneri, mi ha appassionato il suo modo di lavorare. E poi Capello, Lippi, Trapattoni e Ranieri per quanto riguarda l’aspetto della gestione del gruppo».
I suoi punti di riferimento nel calcio quali sono?
«L’Atalanta come squadra e Conte come allenatore».

Legrottaglie con la casacca della Juve

Lei ha giocato diversi anni nella Juve, che cosa trasmette quell’ambiente ad un calciatore?
«La Juventus ti lascia il segno. Anche se non te ne accorgi, quell’ambiente ti segna in positivo. Ti inculcano la mentalità vincente. Sacrificio e lavoro. Quando poi vai in altri contesti capisci perché il mondo Juve è diverso».
Il rimpianto della carriera?
«Non aver partecipato al mondiale in Sudafrica nel 2010. Dopo essere stato nel gruppo durante tutte le partite di qualificazione, la settimana prima delle convocazioni fui estromesso dalla lista dei 23 convocati. Lippi mi telefonò e mi disse che avrebbe portato Bonucci».
Pronto per scrivere un nuovo libro?
«Sì, vorrei scrivere il quinto e ci sto lavorando. Vorrei scriverlo sulla leadership».
Letture preferite?
«I libri che prendono spunto dai princìpi generali della Bibbia e del cristianesimo, ma anche quelli sulla leadership. Gesù è stato il più grande leader e rivoluzionario della storia»
Se dovesse sentir bestemmiare in campo durante gli allenamenti, come si comporterebbe?
«L’imposizione porta alla ribellione. Io non impongo nulla e cerco solo di dare l’esempio».
Lei fa parte degli “Atleti di Cristo”, un’associazione no-profit di ispirazione cristiano-evangelica. Fa degli incontri spirituali anche qui a Pescara?
«Un po’ meno da quando alleno in prima squadra. Comunque ogni due mesi cerchiamo di incontrarci con tutte le nostre famiglie. Posso annunciarvi, però, che faremo un grande evento l’11 aprile, a Pescara, con il raduno nazionale degli Atleti di Cristo».
Ci sono omosessuali nel mondo del calcio e, se sì, perché hanno paura di fare outing?
«Penso che ci siano, ma non vedo quale sia il problema. Ognuno è libero di scegliere la propria sessualità. Queste scelte vanno rispettate e basta. Per il cristiano la famiglia è formata da uomo e donna, ma vale sempre il principio dell’amore, a prescindere da tutto. Siamo tutti figli di Dio, a prescindere dal colore della pelle, del colore politico e delle preferenze sessuali. Dio ama tutti, nessuno escluso, e siamo tutti suoi figli».
Papa Francesco le piace?
«Molto. Su tante cose sono d’accordo con lui, come l’esposizione sul vero significato del Vangelo».
Tra Dio e il calcio chi sceglie?
«Dio è la mia vita. Non sostituirei nulla al rapporto che ho con Dio quotidianamente, anche se il calcio ha un ruolo importante. L’incontro con Dio mi ha cambiato la vita e la carriera».

Zlatan Ibrahimovic

Il giocatore più forte con il quale ha giocato?
«Ibrahimovic. Il più forte di tutti. Una volta, quando eravamo alla Juve, mi disse: “Ibra ti fa vincere i campionati, non Gesù”. Aveva sempre la battuta pronta».
Senza calcio che cosa avrebbe fatto?
«Forse, il poliziotto. Tutti i miei amici sono entrati in Polizia e anche io avrei potuto farlo. Mio padre voleva farmi entrare all’Ilva, a Taranto, dove lavorava lui. Ma alla fine ho scelto il calcio».
È vero che nel 2007 stava passando dalla Juve ai turchi del Besiktas?
«Sì, avevo firmato ed era tutto pronto per il mio trasferimento».
E poi?
«Ho iniziato a pregare Dio chiedendogli di scegliere la strada migliore per me. Qualche giorno dopo mi chiama Alessio Secco, il ds dell’epoca, e mi dice “Nicola, si è bloccato tutto”. Dio aveva lavorato per me, rimasi alla Juventus e mi ripresi il posto da titolare».
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