L'allenatore Marco Giampaolo visto dalla matita di Marco D'Agostino

Marco Giampaolo: «Il calcio romantico? No, vince il business» 

L’allenatore giuliese: «Mi godo una piazza che ha ancora certi valori. Alla Sampdoria tifo, blasone e stadio Ferraris fanno una bella chimica»

INVIATO A GIULIANOVA. Lo sguardo rivolto al mare, piatto e invitante della spiaggia giuliese. E via a parlare di calcio. Ad argomentare e a raccontare l’esperienza che sta vivendo alla guida della Sampdoria. Marco Giampaolo parla a ruota libera nella “sua” Giulianova con vista panoramica sulla serie A. Un po’ di sole e un po’ di riposo dopo una vacanza con gli amici in Grecia in attesa di ripartire per il ritiro precampionato. E un occhio, ovviamente, al telefonino in attesa di ricevere notizie sui movimenti di mercato. Parla con entusiasmo e amore della Sampdoria e del suo blasone. Della tifoseria e dello stadio Ferraris. Una piazza che ispira il romanticismo che alberga nel tecnico giuliese.
Giampaolo, il bilancio di un anno di Sampdoria?
«Positivo, decisamente positivo. E’ una piazza fantastica, pubblico eccezionale: attaccato alla squadra e dotato di uno spiccato senso di appartenenza. E poi i colori sociali, bellissimi. C’è ancora un po’ di romanticismo calcistico in questa piazza e la cosa mi stimola non poco».
Prospettive?
«Fare meglio, sempre».
Intanto ha perso Schick che è andato alla Juventus.
«Un talento, può diventare un top player. Sa fare tutti i ruoli offensivi, anche se non ha una specificità. Forse, questa è la sua forza».
Ha parlato con Allegri?
«Certo, gli ho detto tutto».
Due anni fa lei ha detto: “L’Empoli mi ha tolto dall’ergastolo calcistico”. Oggi qual è la sua dimensione?
«Io non mi godo quello che faccio. Mi piace fare il bilancio a fine stagione. E dopo un anno di Sampdoria sono contento, perché vivo la dimensione di una piazza storica».
Affascinato dal pubblico blucerchiato.
«Proprio così. Si è creata una chimica tra tifosi e squadra che ci ha portato a ribaltare risultati in maniera insperata. La gente ci ha trascinato in tante occasioni, a volte ha spinto la palla in rete. E poi la magia del Ferraris, uno stadio da far venire i brividi. Ecco, il pubblico e lo stadio sono dei valori aggiunti quando, nel nostro caso, si crea una chimica positiva».
Ha mai temuto di non riabbracciare la serie A?
«La mia è una carriera in altalena. Sono stato uno dei più giovani allenatori in serie A senza un passato importante da calciatore. Poi, per una serie di scommesse con me stesso, sono finito in Lega Pro. E ora di nuovo in A. Ho girato una decina di piazze. Ho maturato una buona esperienza per annusare prima l’aria che tira».
Che cosa significa?
«Ho sempre pensato di poter superare gli ostacoli attraverso il lavoro sul campo. Oggi non basta. Ci sono delle variabili nel calcio che possono condizionare lavoro e risultati. E oggi non viene valutato il lavoro, solo i risultati».
Per variabili a che cosa si riferisce?
«Faccio due casi: Bonucci-Allegri alla Juve e Totti-Spalletti alla Roma. Sono stati decisivi e l’allenatore non si è dovuto confrontare sul lavoro del campo. Ha affrontato altre problematiche. Tu puoi allenare bene quanto ti pare, ma poi i risultati si ottengono anche grazie alla gestione del gruppo».
Sì ma quando è andato alla Cremonese, in Lega Pro, nel novembre 2014...
«L’ho fatto perché volevo tornare in serie A».
Che cosa non rifarebbe?
«Ad esempio, andare a Cesena, nel 2011».
Della possibilità di allenare la Juve nel 2008 si sa tutto. Ma è vero che è stato a un passo dal Milan l’anno scorso?
«Diciamo che c’era una possibilità e che non si è concretizzata».
E così ha detto sì a Ferrero?
«Un personaggio intelligente, intuitivo. Sa annusare le persone, perché viene dalla strada. Ha fatto la gavetta. Non si intende di calcio e lo dice lui stesso. Però, ha intuito. Ed è diverso da quello che appare mediaticamente».
Che cosa le manca lontano da Giulianova?
«La famiglia e gli amici».
La sua giornata tipo da allenatore?
«Di solito vado al campo verso le 9 del mattino ed esco dal centro sportivo verso le 20. Resta poco tempo...».
Giusto il giorno di riposo dopo la partita...
«Per modo di dire, perché non dormo dopo la gara. L’adrenalina è ancora forte».
Ha un rimpianto nel suo cammino professionale?
«No, ma le stagioni dipendono da un’infinità di variabili. Io nel tempo ho imparato dagli errori. Si sa, l’esperienza è la somma delle fregature. Che ti aiutano a non commettere gli stessi errori».
L’allenatore giuliese nato a Bellinzona, in Svizzera...
«Sono nato a Bellinzona, perché i miei genitori erano emigrati per cercare lavoro. Ma sono tornato a Giulianova che avevo un anno. Sono giuliese al 100%, come la mia famiglia».
Per quale allenatore ha votato alla Panchina d’oro?
«L’ultima volta Maurizio Sarri. L’anno precedente Max Allegri. Pur essendo diversi, sono dei primi attori nelle loro specificità. Sono al top attraverso mezzi e conoscenze diverse».
L’abruzzese Eusebio Di Francesco alla Roma.
«Giusto, sono contento per lui. E’ un’occasione che si è costruito con un cammino eccellente. Ragazzi, ha portato il Sassuolo in Europa League valorizzando fior di giocatori! La chiamata della Roma è un premio al merito acquisito con il lavoro».
La Juventus è ancora davanti a tutti? Vincerà il settimo scudetto di fila?
«Penso che il Napoli sia più vicino che in passato. Molto più vicino alla Juve. Le contenderà lo scudetto fino alla fine. Secondo me, le motivazioni faranno la differenza».
E le altre?
«Milan, Inter e Roma, a mio avviso, sono ancora un passo indietro».
E la Juventus sconfitta dal Real nella finale di Champions League?
«Non può essere una partita, seppure importante come una finale, a inficiare il cammino straordinario della squadra di Allegri. Straordinario per continuità di risultati, direi impressionante. Prendete i tre anni di Allegri: tre scudetti e altrettante coppa Italia. E poi due finali di Champions League. Ragazzi, la Juve è un top club d’Europa. Le chiacchiere stanno a zero».
Sui social, però...
«Non scherziamo, parliamo di calcio... seriamente!».
Donnarumma ha rifiutato l’adeguamento del contratto a 5 milioni di euro a stagione per altrettanti anni.
«Non conosco e non conosciamo la vicenda se non per quello che leggiamo sui giornali. Bisogna sapere prima di parlare. Però...».
Però, che cosa?
«Il romanticismo non appartiene più al calcio. Togliamocelo dalla testa. A me piace un calcio fatto di valori e ideali, come la vita. Ma così non è, occorre guardare in faccia la realtà».
E quindi?
«La scala dei valori dovrebbe essere lavoro, risultati e aspetto economico. E, invece, il business fagocita tutto. Soldi per i soldi».
Non ci sono mezze misure.
«No, prima con il vincolo, il coltello dalla parte del manico ce l’avevano le società. Ora sono i giocatori - e i procuratori - che fanno il prezzo. E’ così».
Come ha ritrovato Giulianova?
«Vorrei ritrovarla meglio. Non cammina, purtroppo. E’ grigia. Triste d’inverno, bella d’estate. Non cammina, è sempre la stessa. Ma sono giuliese e non posso fare a meno della mia Giulianova».
Notizie di mercato, è vero che Skriniar va all’Inter?
«Mi squilla il telefono, è la società. Devo lasciarla...». E se ne va verso l’ombrellone.
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