L’Aquila

Marco, la lepre e la freccia: «Il mio cuore è a Pizzoli»

16 Ottobre 2025

Mondiali Paralimpici. Due ori e un bronzo in India per il 26enne Cicchetti: «L’Abruzzo è la mia casa»

PIZZOLI. C’è una lepre che salta pur avendo una freccia conficcata nel corpo. Quel dardo la trafigge, ma non riesce a fermarla. «È come me». Marco Cicchetti, due volte campione del mondo a Nuova Delhi nell’atletica leggera paralimpica, s’identifica in quel simbolo di agilità e mitezza. Tanto che se l’è fatto tatuare sul fianco destro. Non è la spina di San Paolo: è un portafortuna che l’accompagna ovunque. Romano di nascita, ma di chiare origini aquilane (Pizzoli, nell’Alta Valle dell’Aterno), il 26enne iridato nel salto in lungo e nei 200 ha dato una bella mano alla Nazionale azzurra, che ha riportato dall’India 11 medaglie (7 ori, 1 argento e 3 bronzi). Sacrifici, passioni, obiettivi, radici: così si racconta al Centro.

Te lo aspettavi?

«Così proprio no. Avevo aspettative alte perché l’anno era già andato molto bene e mi ero migliorato sui 100 e 200 e il salto in lungo, la mia specialità. Bene sì, ma non così tanto. È stato il terzo Mondiale per me, il più importante dopo Grand prix e meeting in Europa. E pensare che....».

E pensare...

«Che due giorni prima di partire non mi sentivo troppo bene...in più, nei Mondiali scorsi, ero ancora con la categoria T64 (atleti con le protesi, ndr), tutto più complicato gareggiare lì. Questo invece è stato il primo Mondiale della mia categoria T44. Dodici giorni complicati».

Riassumendo?

«Ci siamo dovuti organizzare tutto e preparare ogni minimo dettaglio: non devi prendere acqua dal rubinetto, stare attento ad alimentarti, e soprattutto all’aria condizionata...ci sono gare di semifinale e finale sparse nell’arco di 9 giorni e devi essere bravo a gestire con il coach gli allenamenti e a dosare bene le energie tra una gara e l’altra. Ma su quella pista non ero da solo».

Pizzoli ha fatto il tifo per il suo campione.

«Li ho sentiti vicini. Da parte di mio padre ho tutti i parenti in Abruzzo, i Cicchetti di Pizzoli, dove ho passato tutte le estati, compresi Pasqua e Natale. Per me è un posto speciale dell’infanzia: il contatto con la natura mi fa stare bene. Ho tutti bellissimi ricordi: anche l’estate scorsa sono stato alcuni giorni per rinfrescarmi dal caldo di Roma, dove allenarsi a luglio e agosto è un problema. Ho ricaricato le batterie lì dove sono le mie radici, la terra dei nonni Vincenzo ed Elena Sette e della mia infanzia felice con papà Paolo, mamma Anna Maria e mia sorella Giulia che, quando avevo 17 anni, mi ha portato a fare atletica, dopo che avevo lasciato la ginnastica artistica. Da lì è nato tutto».

La giornata-tipo?

«Allenamento mattina e pomeriggio sei giorni su sette. Comincio a casa con potenziamento e core, poi in pista al campo o in palestra o in pedana di salto in lungo. L’attività sportiva, è diventata un impegno forte negli ultimi due anni: ho fatto un gradino in più e sono arrivati i risultati. Mi segue l’allenatore Stefano Giordano».

E il calcio, Roma o Lazio?

«Non lo seguo».

Il tatuaggio portafortuna?

«Una lepre trafitta da una freccia che continua a correre e a saltare, come me. Rappresenta la sensibilità, vista anche come forma di potenza. È un’illustrazione di un disegnatore filippino che mi piace molto. La freccia passa, la lepre quasi si scompone per farsi attraversare, ma in questo caso l’arma non ce la fa a fermarla: è l’affermazione che la sensibilità vince sempre sull’ignoranza, sensibilità che oggi viene spesso vista come fragilità, ma in realtà è un punto di forza».

Cosa cambia dopo l’India?

«Posso riposarmi, ma soltanto per qualche giorno: a fine mese ho i campionati di società».

Correre, saltare e... «Ho studiato alla scuola romana del fumetto con specializzazione nelle arti digitali: mi piace molto il mondo degli illustratori, ci penso da quando avevo 3 anni. Per ora sono molto concentrato nello sport e vediamo dove mi porta la vita, pian piano sto prendendo queste decisioni». Di salto in salto, come la lepre.

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