Margiotta: «Aiuto  i giovani a crescere» 

Dai primi calci a Pescara al ruolo di responsabile del vivaio del Verona

PESCARA. Se ne erano perse le tracce, ma c’è voluto poco per ritrovare Massimo Margiotta, il bomber dei due mondi a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il 2011 quando ha deciso di appendere le scarpe al chiodo. Vive a Vicenza e lavora a Verona. È responsabile del settore giovanile dell’Hellas da un paio di anni. E con i buoni risultati ottenuti dalla prima squadra sta trovando una degna vetrina anche il lavoro del 42enne ex attaccante italo-venezuelano. La Primavera gialloblù, infatti, è arrivata alla finale di coppa Italia, contro la Fiorentina, e anche i giovani del vivaio godono della luce riflessa della buona stagione della squadra di Juric architettata dal pescarese Tony D’Amico. Margiotta a Verona è stato chiamato dal presidente Setti e da Pietro Fusco (ora alla Juve) e D’Amico. «Nel 2017 ho lasciato Vicenza, perché è cambiata la proprietà e di conseguenza tutto il management. Sono stato fermo un anno e poi è arrivata la chiamata dell’Hellas». A Vicenza Margiotta vive con la moglie Simona e la figlia Giulia, di 16 anni. E al Vicenza l’ha portato l’amico Cristallini quando ha iniziato la carriera di direttore sportivo. «Prima responsabile dell’attività di base per due anni e poi a capo del settore giovanile». Un lavoro che gli piace. «Mi occupo di tutto, ma comunque siamo più persone e io faccio da coordinatore». Nella Primavera del Verona l’anno scorso c’era Kumbulla che ora è il difensore rivelazione della serie A. «Sì, ma non voglio prendermi meriti che non sono miei. Non l’ho scoperto io. Lui è forte. Io ho avuto solo la fortuna di averlo con me alla Primavera. L’ho trovato qui. Io spero solo di essermi fatto apprezzare come uomo. Cerco di commettere meno errori possibile. Lui, Kumbulla, comunque ha la testa sulle spalle. Ha personalità e comportamento giusti. Non a caso l’hanno portato alla ribalta della serie A. Avere la testa giusta è fondamentale, ho visto tanti giocatori che potevano essere dei campioni, ma che si sono persi perché non avevano la testa per fare il calciatore».
Il suo lavoro? «Abbiamo un reparto scouting con cui cerchiamo di coprire zone del Veneto e veronesi in particolare. Cerchiamo di portare qui più ragazzi dell’hinterland. Siamo abbastanza strutturati su tutta l’Italia, grazie agli osservatori. Cerco di coordinare questo lavoro, mi occupo della gestione degli allenatori e del personale. Io sono innamorato dei miei ragazzi, non fa testo il mio pensiero, perché per me sono i migliori. E poi, detto francamente, abbiamo davvero ragazzi interessanti, grazie al lavoro svolto da mister Corrent alla Primavera».
Le radici. L’occasione è propizia per rileggere alcune pagine del passato. Innanzitutto ogni tanto piazza qualche parola in dialetto nel discorso, vuol dire che non ha perso le radici abruzzesi. «Scherzi? Ho casa a Montesilvano e appena posso faccio un salto a Raiano dove ho i genitori, i parenti e gli amici. Lì c’è il mio mondo».
La palla continua a rotolare, ma… «il calcio è cambiato. Eccome se è cambiato! Però, non mi va di fare il sapientone. La verità è che la nostra generazione ha qualcosa in più rispetto a quella dei nostri genitori. E quindi c’è meno fame. Però, gli effetti del cambiamento sono anche positivi. Non bisogna vedere solo le cose negative. Ai miei tempi si reclamavano i campi di calcio. Oggi ce ne sono più di allora e gli impianti sportivi aiutano a soddisfare la fame di sport. È quello che tutti noi auspicavamo».
Il passato. Sfogliando l’album dei ricordi non ha esitazioni nell’individuare i momenti clou della carriera. «La prima partita con la maglia del Pescara non la posso dimenticare. E poi i gol di Leverkusen in coppa Uefa nel 1999 che mi hanno cambiato la carriera. E l’esperienza di Vicenza dove ho conosciuto mia moglie e messo su famiglia». Già, indimenticabili i gol con l’Udinese al Bayer Leverkusen nel 1999: in trasferta, al ritorno, tutti e due nei primi 20 minuti, in faccia a Ballack, Emerson, Kirsten e Zè Roberto. Abbastanza per eliminare i tedeschi che a Udine avevano vinto 1-0. Un’impresa mica da poco, passata in archivio a Udine come “il miracolo di Leverkusen”. Margiotta non doveva giocare, fu schierato a sorpresa al posto di Sosa (addirittura titolare per la prima volta in stagione) e infilò due volte di testa Matysek, diventando “il bomber di Coppa”.
Il Delfino. Sa tutto del Pescara. «Sono entrato nel vivaio dopo un provino. Ho fatto dagli Esordienti fino alla prima squadra, come potrei dimenticare? C’era il ds Enrico Graziani quando mi presero. Ora leggo che la gente contesta. Io dico che Pescara ha sempre grosse pretese, ma nella vita bisogna godere di quello che uno ha. Tante città sono senza calcio professionistico, Pescara invece è sempre lì». Ai suoi tempi Margiotta ogni tanto veniva beccato all’Adriatico. «La verità è che io ero ancora acerbo per fare la serie B. Non a caso andai in C1, a Cosenza, dove ho vinto il campionato e il titolo di capocannoniere. Io andai a maturare e il Pescara monetizzò la cessione, fu un affare per tutti».
Il grazie a Oddo. Non ha rimpianti. «Io per carattere guardo sempre il bicchiere mezzo pieno, il calcio mi ha dato tanto e bisogna essere onesti nel riconoscerlo. Devo un grazie a tutti, anche a quelle persone con cui non ho legato. Ma il grazie più importante lo devo a Franco Oddo (papà di Massimo, ndr), il tecnico che mi ha lanciato in prima squadra. Lui ha creduto realmente in me, venivo dal settore giovanile e lui mi ha dato fiducia. Ovunque credo di aver costruito dei buoni rapporti umani. Ho tanti amici, merito anche del sangue venezuelano che scorre nelle mie vene. Sono allegro ed estroverso. Mi piace divertirmi. Forse, nel mondo del calcio sono più legato a Morgan De Sanctis visto che da quando avevamo 12 anni siamo cresciuti insieme e ancora oggi coltiviamo un bel rapporto».
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA