Paciocco: «Il rigore di Rabona, l’amicizia con Maradona e un Lecce indimenticabile»

L’ex attaccante a 64 anni vive a Vacri (Chieti) ed è celebre ancora oggi per quel penalty calciato incrociando i piedi nel 1990 in B con la Reggina. «Il Torino mi pagò 400 milioni a fine anni Settanta. Al raduno del Milan dovetti convincere il custode che ero un calciatore rossonero»
Lui l’ha fatto per davvero. Ancora oggi Ricardo Paciocco, 64 anni, di Vacri, viene ricordato per quel rigore calciato di Rabona il 13 maggio 1990. Campionato di serie B, in quello che sarebbe diventato lo stadio Granillo, penalty per gli amaranto di casa nel finale contro la Triestina sul risultato di 1-1: lui incrocia il sinistro con il destro e fa gol. «Nessuno ci capisce niente, l’arbitro impiega qualche secondo per indicare il centrocampo. Il telecronista nemmeno se ne accorge». E il compianto Bruno Bolchi, detto Maciste, disperato in panchina. «In settimana», ricorda l’ex attaccante, «avevamo fatto l’amichevole con la Nazionale militare. E ho calciato il rigore di Rabona, facendo arrabbiare Marchegiani (oggi opinionista televisivo). Lo stesso Bolchi mi aveva rimproverato nello spogliatoio, perché non si doveva mancare di rispetto all’avversario. Giusto, ma io non volevo irridere nessuno. Mi veniva spontaneo». Forse, perché nelle sue vene scorre sangue sudamericano. Mamma argentina e papà italiano originario di Vacri. Ricardo Paciocco nasce a Valencia, in Venezuela, a nord di Caracas e deve il suo nome al nonno materno. A 5 anni eccolo di ritorno a Vacri. Niente scuola calcio. Verso i 10-12 anni, con il consenso del padre, comincia col ciclismo, facendo anche alcune gare. Andava anche bene, per la gioia del padre perché vinceva anche, ma a 15 anni lo chiamano per il torneo dei bar.
Metà anni Settanta. Inizia a giocare nel Vacri sotto falso nome, perché ha meno di 16 anni. «Una partita l’ho fatta anche alla Civitella a Chieti, roba da brividi». Ma deve la carriera al torneo estivo. Lo vede, infatti, il compianto Pierluigi Di Berardino («devo tutto a lui»), dirigente del River 65 e poi della Lnd Abruzzo. Lo porta a Chieti in cambio di due divise da calcio e 40 palloni. Dopodiché arriva il grande salto. Anni Settanta, il Torino lo paga 400 milioni ed entra nel settore giovanile granata di Sergio Vatta. Era il Torino di Pulici e Graziani. Andata e ritorno perché dopo qualche anno rieccolo in Abruzzo tra Teramo e Roseto. Primi anni Ottanta due stagioni in C con 26 gol all’attivo. Il compianto ds Ermanno Pieroni lo vende al Milan.
Si presenta al raduno alla guida della Ritmo diesel bianca e il custode «mi fa segno che per andare a vedere gli allenamenti dovevo imboccare l’altro ingresso. Dovetti mostrargli la lettera di convocazione per convincerlo che ero un giocatore del Milan. D’altronde, appena arrivato al parcheggio della squadra capii subito le sue titubanze. Io con quella Ritmo diesel bianca stonavo proprio tanto che quasi la nascosi». Era il Milan di Ilario Castagner in cui ha trovato la concorrenza dell’attaccante inglese Luther Blisset, in un calcio allora come oggi preso dall’esterofilia, rivelatosi poi uno dei più grandi “bidoni” della storia del calcio italiano.
Appena un paio di presenze in A e poi il trasferimento, a novembre, al Lecce. «Arrivo nello spogliatoio e mi presentano, vado da mister Fascetti e gli porgo la mano per salutarlo. Lui non mi dà la sua e mi gela: “Paciocco, sei sovrappeso”. Sarei voluto morire». Il giorno dopo partitella in famiglia e Paciocco viene marcato da Stefano Di Chiara. «Prima entrata e sto zitto, seconda pure e alla terza gli do un pacco in faccia. Perde sangue dalla faccia. Multa e una settimana fuorirosa».
Oggi sono grandi amici. A Lecce lo ricordano ancora oggi vuoi perché ha fatto parte della squadra di Mazzone promossa in serie A per la prima volta nel 1985 vuoi perché nel 1989 segna uno dei due gol contro il Torino all’ultima giornata: vittoria che vale la salvezza. Vede crescere Antonio Conte. «Veniva dalle giovanili, era già vecchio. Mentalizzato per fare il giocatore. Sono andato a trovarlo a Castel di Sangro, non mi meraviglio sia diventato uno dei migliori allenatori al mondo». Assiste all’esplosione di Moriero. «Mazzone lo volle con sé a vivere in albergo, convinto che Checco non facesse vita sana».
E diventa grande amico di Barbas e Pasculli, campioni del mondo del 1986 con l’Albiceleste. «Loro argentini e spaesati a Lecce, io parlo spagnolo. C’è voluto poco per entrare in confidenza». E comincia a fare la spola Lecce-Napoli. «Sì, loro si facevano accompagnare dal sottoscritto per andare a trovare Diego Armando Maradona. Ho conosciuto Diego. E mi verrebbe da dire: ho visto cose che voi umani nemmeno immaginate».
A Lecce ancora oggi è un personaggio e ancora oggi lo chiamano per interviste e opinioni. Un anno (1987-88) a Pisa con Materazzi, laddove gioca con Carlos Dunga. «Vincemmo il derby con la Fiorentina e feci gol. Qualche settimana fa mi hanno chiamato per ricordare quella partita». E poi ancora Lecce. La data indimenticabile è 25 giugno 1989. Lecce-Torino 2-1, salvezza dei salentini granata in B. «Salvarsi negli ultimi 90’ davanti ai propri tifosi», sostiene Ricardo Paciocco, «avvertendo la spinta di tutto il Salento fu un’esperienza fantastica. Tanto più per me che considero Lecce la mia seconda casa». Quel giorno lo marca Ezio Rossi, un amico ancora oggi. «Ma non c’è amicizia che tenga. L’ho riempito di botte e gli ho fatto gol. Nel prepartita l’allora presidente Jurlano ci promise un premio salvezza pazzesco. Non potevamo retrocedere».
Chiude con Reggina e Teramo la carriera da calciatore. «Da Vacri (circa duemila abitanti in provincia di Chieti, ndc) sono partito e a Vacri sono tornato. Una volta smesso di giocare a pallone ho chiesto a mia moglie dove stabilirci e lei ha deciso di tornare a casa. Da Vacri a Vacri, in mezzo ho visto il mondo del calcio che mi ha dato tanto ma che ho vissuto senza perdere la testa. E vi posso garantire che è più facile montarsela che tenerla sulle spalle». 41 anni di matrimonio e otto di fidanzamento, due volte nonno. «Devo tutto o quasi a mia moglie. L’ho conosciuta che facevamo le scuole medie. Io qualche vena di follia ce l’ho. Lei è equilibrata e razionale». Oggi a 64 anni è pensionato, esattamente da 13 anni. Ma di quei pensionati che non stanno mai fermi e fanno mille cose. Un calciatore anni Ottanta-Novanta vive di rendita? «Se ci si riesce ad amministrare, sì».
E il calcio di oggi? «Lo vedo e lo seguo, ma non mi piace più. Non solo non è il mio calcio, ma non è proprio calcio. Oggi solo velocità, forza e tattica. Appena c’è uno che salta l’uomo diventa un fenomeno. Roba da matti». Ricardo Paciocco ha provato a restare nel mondo del calcio come allenatore, ma «ho visto cose che non mi piacciono, da vomito. E dal momento che mi conosco ho preferito farmi da parte». Quindi? «Vado a vedere il Vacri in Prima categoria o squadre della zona. Sempre tra i dilettanti». Ogni tanto, però, arriva qualche amico di vecchia data a trovarlo e per rivangare vecchi ricordi del passato. E comunque gente che calcia un rigore di Rabona, almeno tra i professionisti, non se ne vede.



