Paterna in serie A e B tra sacrifici e rinunce: non mi sento arrivato 

«La prima gara? Dimenticai di far partire il cronometro... Nel 2017 dopo Lecce-Melfi pensai anche di mollare tutto»

TERAMO. Lo aspettavano, è arrivato puntuale. Da qualche anno nell’ambiente arbitrale abruzzese un po’ tutti scommettono su Daniele Paterna, informatore medico di 32 anni, della sezione Aia di Teramo. Tutti convinti che arriverà in serie A. La riunificazione della Can di A e B gli ha permesso di bruciare le tappe. Dalla Can C alla corte di Rizzoli che da questa stagione gestirà gli arbitri di A e B. Paterna, Calvarese e Di Martino, tutti della sezione di Teramo e tutti nella Can di A e B.
Paterna, la comunicazione di martedì non è stata una sorpresa per lei.
«Beh, devo dire che l’ufficialità della notizia regala sempre sorpresa ed intensa emozione. Diciamo che avendo diretto la finale play off di serie C pensavo di essere in lizza anch’io per il salto di categoria».
A chi deve dire grazie?
«Innanzitutto, alla mia famiglia, mio padre in primis, che mi ha sempre supportato. Poi, la mia ragazza Valeria che mi ha sempre incoraggiato. Non è facile essere la donna di un arbitro, ve l’assicuro. E poi, ovviamente, la sezione Aia di Teramo, con il presidente Giuseppe Di Domenico, che è la mia famiglia arbitrale».
Calvarese, Di Martino e Paterna, tutti della sezione di Teramo, nella Can. Una coincidenza?
«Si tratta di un evento storico per la nostra sezione, ma c’è stato un gran lavoro alle spalle sulla base della preparazione tecnica e comportamentale. La sezione di Teramo ha sempre sfornato grandi arbitri, quest’anno c’è qualcosa in più con la presenza di tre direttori di gara nella Can di A e B».
Il complimento più bello da chi è arrivato?
«Tanti, però, quelli degli ex internazionali Damato e Di Liberatore mi hanno fatto commuovere».
Che cosa le hanno detto?
«Che quanto guadagnato sul campo è stato il frutto della mia tenacia e della voglia di migliorarmi partendo sempre dalla correzione di un errore».
Come ha iniziato?
«Non volevo fare l’arbitro. Giocavo a calcio, mi piaceva vedere e giocare. Andavo allo stadio, al Comunale, a Teramo, erano i tempi di Zecchini e Malavolta. La scoperta che con la tessera Aia si poteva entrare gratis allo stadio ha agevolato il mio percorso formativo. Mio padre, da buon ex arbitro, mi ha sempre consigliato di andare in sezione in quanto palestra di vita per ogni giovane, ma mai mi ha spinto a fare qualcosa che non volessi. Tant’è che poi la scelta fu tutta mia».
Quali sono state le rinunce durante la carriera?
«Tante, perché, inevitabilmente, togli tempo alla ragazza e alla famiglia. Agli amici, soprattutto».
Qual è lo stadio che aspetta di visitare con maggiore ansia?
«La gran parte di essi in quanto in ognuno potrei vivere delle emozioni molto forti».
Quando rivede un errore come reagisce?
«Passo un paio di notti insonni. Poi, chiaramente, studiando attentamente quell’errore traggo la lezione per correggermi in futuro».
Qual è stato il suo modello di arbitro?
«Rizzoli, Rocchi e Orsato sono dei maestri. Degli esempi. E io avrò l’opportunità di incontrarli e con i loro consigli di crescere».
Se la ricorda la prima partita arbitrata?
«Come no! Mi dimenticai di far partire il cronometro al fischio d’inizio tanto ero ansioso. Allo stadio di Notaresco. Ricordo che diedi anche un calcio di rigore in quella partita giovanile».
Ha mai avuto paura su qualche campo?
«Vera paura no, ma una forte tensione ci fù a San Severo, stagione 2014-2015, in serie D. Fischiai un calcio di rigore al 93’ al Monopoli, con il quale la partita finì in parità. Appena terminata la gara, ci fu invasione di campo e la polizia antisommossa mi venne incontro per proteggermi e scortarmi fino all’ingresso dello spogliatoio».
Calciatore mancato da bambino?
«Giocavo a centrocampo, mi piaceva spingere a destra. Correvo tanto. Ero tesserato con l’Atletico Nepezzano, ho fatto fino ai Giovanissimi».
C’è stato un momento in cui le sue convinzioni hanno vacillato durante la carriera?
«Uno in particolare, quello che poi mi ha dato la forza di andare avanti. In serie C, in un Lecce-Melfi, del 2017, appena dopo il terremoto. Evidentemente non ero sereno. Ci fu un episodio, una carica al portiere, in cui prima diedi gol e poi lo tolsi. Creò imbarazzo ovviamente. Ci furono delle polemiche. All’inizio volevo abbandonare, non mi sentivo a mio agio. Però, grazie al mio presidente di sezione, all’amico Milton, all’approfondita analisi di quell’errore, sono riuscito ad andare avanti e a riemergere. Chi mi aiutò molto fu anche l’organo tecnico Giannoccaro che mi diede grande fiducia. Con quell’episodio sono riuscito a cambiare registro e arrivare fino a dove mi trovo adesso».
Arbitrare che cosa rappresenta per lei?
«Decidere in una frazione di secondo, nella gran parte delle volte in maniera ottimale. Questa è una palestra di vita, una formazione caratteriale che nessun’altro lavoro o sport al mondo ti può dare. Da solo per controllare tutto. Con personalità poi bisogna affrontare anche gli errori, e i problemi della vita. Questo significa essere arbitro, per me».
Tifoso del...
«Della mia città, ovviamente».
In che cosa riconosce di dover migliorare?
«Fondamentale è non sentirsi mai arrivati. Se ricordo come arbitravo al primo anno di D e come ho finito la Lega Pro con Reggiana-Bari sono due arbitri diversi. Ero gracile, senza tanta personalità all’epoca. Ora, dopo alcuni anni, sono migliorato. Penso di avere serenità, in quanto è l’arma vincente per le gare più difficili. Dove devo migliorare? Più si va su e più si lavora sulla tecnica arbitrale, sul modo di vedere un episodio. Sullo spostamento e sul rapporto con i calciatori».
Quali sono le paure di un arbitro?
«Dell’errore, quello decisivo. Un conto è sbagliare la valutazione di un fallo a centrocampo e un altro in area di rigore».
Com’è la vigilia tipica di un arbitro?
«Almeno in serie C, il martedì arriva la designazione per il fine settimana. E quindi mi informo sulle squadre, su come giocano. Si va sul portale Wyscout che ci dà le informazioni necessarie sulle squadre ed il loro modulo di gioco. E poi, di solito, sento gli assistenti per fare gruppo, cercando di arrivare sempre con serenità alla gara».
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