Rossi: l’Inter con Conte sarà la rivale della Juve 

«Gli inglesi dominano perché hanno imparato a spendere i soldi»

PESCARA. Il fiuto del gol e l’innata simpatia lo hanno eretto a simbolo del calcio degli anni Ottanta. Quelli di un’Italia vincente che suscitano ancora oggi nostalgia alle luce dei recenti tonfi a tutti i livelli. Paolo Rossi è diventato Pablito nel 1982 quando ha trascinato gli azzurri alla conquista del mundial di Spagna. Tre gol al Brasile, due alla Polonia e uno alla Germania Ovest. Quel titolo iridato gli ha dato una sorta di immortalità calcistica e ancora oggi è il simbolo di un calcio vincente. Alla vigilia del suo ritorno in Abruzzo – oggi a Ortona e domani a Pescara – ecco una sintesi del suo pensiero sul calcio di oggi.
Sarri sì o Sarri no alla Juventus, che cosa cambierebbe con il suo arrivo sulla panchina bianconera?
«Sarebbe un cambio forte, radicale. Un calcio diverso da quello proposto da Allegri, un modo diverso di interpretarlo. Non so se sarebbe un valore aggiunto, questo lo dirà solo il campo, perché alla fine contano i risultati, al di là dello spettacolo. Certo, se i risultati arrivano attraverso il bel gioco tanto di guadagnato».
Ma lei avrebbe esonerato Allegri?
«Non sono un dirigente della Juve e non conosco le dinamiche interne al club. Credo sia stata una decisione difficile ed è altrettanto difficile capire quali siano state le motivazioni. Forse, la necessità di rinnovarsi per la Juve e creare nuovi stimoli. Dopo cinque anni, ci può stare di cambiare il condottiero».
Che cosa porta, invece, Conte all’Inter?
«Nel panorama internazionale è un allenatore straordinario, uno dei migliori. Porta professionalità e voglia di vincere, Antonio è uno di quegli allenatori che ha sempre fame. È una sfida anche per lui far vincere l’Inter, consapevole del fatto che arriva in una società che ha ambizione e possibilità di spendere. Non sarà facile arrivare subito sullo stesso livello della Juve, ma l’Inter certamente fa un passo avanti».
Come giudica i mugugni dei tifosi sulle icone che cambiano maglia?
«Io appartengo all’epoca trapattoniana in cui in dieci anni ha vinto tutto con i bianconeri. Ebbene, poi è andato all’Inter e ha vinto lo stesso. Lo ha fatto nonostante il suo passato da calciatore nel Milan... La professionalità emerge, allenatori lo si è in tutte le panchine, di qualsiasi colore. Prendete Capello, quando è passato dalla Roma alla Juve con tutte le accuse che si sono scambiati. Ma Capello è sempre Capello».
Gli inglesi dettano legge, hanno imparato a spendere la montagna di soldi che guadagnano?
«Si, sono d’accordo. Hanno molti più soldi e prima o poi ci prendi nelle scelte. Quest’anno hanno fatto bingo, piazzando finaliste in entrambe le competizioni europee. Hanno i migliori al mondo o quasi. Quando hai la possibilità di spendere è più facile vincere».
La prossima sarà una serie A migliore?
«Penso di sì, quest’anno il campionato è stato noioso, al di là dei brividi dell’ultima giornata in cui sono state rimescolate le carte. Ma con la Juve non c’è mai stata lotta, a metà campionato i valori erano già ben delineati. Più che negli anni scorsi. Io credo che con Sarri e Conte, tra gli altri, la serie A sarà molto più interessante».
Lei è uno che predilige il gioco oppure il risultato? Come si pone nel duello filosofico?
«Mi piace vedere bel calcio, ma se facessi l’allenatore guarderei al risultato, la base per cui vieni giudicato. Allegri è un allenatore pragmatico, lui va dritto sul risultato. Come non importa, l’importante è arrivarci. E poi: qual è il bel gioco? Che cosa si intende per bel gioco? È un giudizio soggettivo e opinabile. E comunque se vinci per cinque anni di fila non puoi averlo fatto giocando male. A mio avviso sono pochi gli allenatori che spostano gli equilibri. Uno è Guardiola, l’altro è Klopp. E comunque hanno a disposizione il meglio a livello di giocatori».
A 62 anni va ancora ricevendo premi per il Mundial del 1982, quel titolo iridato le ha dato l’immortalità calcistica?
«Per certi versi sì. Più passano gli anni e più si rafforza l’immagine di quel titolo. Gli anni non sbiadiscono il ricordo di quel trionfo. C’è un alone di mistero che non mi spiego, ma che mi fa piacere. Negli anni Ottanta-Novanta aveva un senso ricevere premi, oggi è ancora più bello. Si vede che tutto nasce da un affetto che è rimasto intatto nei miei confronti».
Oggi che cosa fa nella vita?
«Tante cose, ho un’accademia di calcio a Perugia con ragazzi che arrivano da tutto il mondo e aspirano a diventare professionisti; poi, gestisco un’azienda agricola in Toscana dove facciamo vino e olio e c’è la disponibilità di 60 posti letto nell’agriturismo. E poi sono nel Cda del Vicenza (serie C, ndr), la squadra del mio cuore. Vivo in Toscana, ma giro tanto anche perché faccio l’opinionista alla Rai».
Se le dico Abruzzo…
«Ci vengo spesso. A Pescara ho un rapporto consolidato con i dirigenti della Fater, c’è un bel feeling. Mi trovo bene con loro, persone speciali e per bene. A Ortona sono stato due anni fa in visita privata con l’amministratore delegato della Fater. Ora ci torno con piacere per ricevere un premio che mi rende orgoglioso».
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