il caso

Bellante, pignorato da Equitalia chiude l’azienda

La società di riscossione gli chiede le tasse per i 9 anni in cui era in carcere e gli blocca l’indennità di mobilità con cui ha avviato un’impresa. Ora per protesta ha iniziato lo sciopero della fame

BELLANTE. Gli è crollato il mondo addosso, quel mondo che aveva già ricostruito a fatica anni prima. E’ la storia di V.L., calabrese ma da anni stabilitosi a Bellante con la moglie e un figlio di 8 anni. La sua storia è fatta di una serie di colpi di sfortuna. Operaio della Rdb di Tortoreto, nel luglio scorso viene licenziato e va in mobilità. V.L. non si abbatte e decide di dare le gambe a un’idea: aprire un’aziendina che produce pellet. Così fa domanda all’Inps di avere in un’unica soluzione tutta la somma dell’indennità di mobilità, per avere il capitale e aprire l’impresa. «L'Inps ha accettato la domanda e mi ha detto che mi spettavano sui 27mila euro», racconta l’uomo, «con alcuni risparmi intanto ho comprato qualche macchinario, spendendo 16mila euro. Ho affittato i locali a Bellante per 500 euro al mese. Tutto in attesa dei 27mila euro. Avevo cominciato a lavorare, ma i soldi non arrivavano. A novembre l'Inps mi ha avvertito che i soldi erano bloccati da Equitalia. Allora sono andato negli uffici teramani di Equitalia, ma mi hanno risposto che non erano competenti, rimandandomi all’Inps. E lì mi rinviavano a Equitalia. Una mattina ho deciso di impormi e ho chiesto di parlare con il direttore di Equitalia il quale mi ha detto che i soldi erano stati bloccati dagli uffici di Reggio Calabria».

Per telefono V.L. contatta la sede calabrese di Equitalia, qui gli rispondono di non preccuparsi, che in realtà sono stati bloccati poco più di 4mila euro, ma il resto gli arriverà. «Ho pensato: li recupero in altra maniera, lavoro di più», aggiunge V.L., «erano i primi di dicembre e qualche giorno dopo sono andato a fare per scrupolo un controllo all’Inps e qui mi hanno detto che mi daranno 4mila euro, il resto è tutto pignorato».

E a questo punto V.L, scopre l’arcano. L’uomo è stato in carcere per 9 anni, ha pagato il debito con la società, è uscito nel 2005 e si è rifatto una vita. «Nel 1972 avevo aperto partita Iva: facevo l’ammollatore di stoccafisso. Quella partita Iva non l’ho mai chiusa – non sapevo si dovesse fare – fino a due anni fa. E ora l’erario – le cartelle esattoriali non le ho mai ricevute – mi chiede di pagare le tasse su un lavoro che non potevo fare perchè ero in carcere». Disattenzione di V.L., ma disattenzione ben più grave dello Stato che non si è accorto che V.L. era rinchiuso in un proprio istituto di pena. Il risultato è che l’aziendina della speranza l’ha dovuta chiedere. E, paradosso sul paradosso, non può lavorare perchè ha usufruito della mobilità. «Non abbiamo i soldi per mangiare, siamo disperati», conclude V.L. che da oggi inizia lo sciopero della fame per chiedere aiuto. Il sindaco di Bellante, Mario Di Pietro, si è già interessato al suo caso.

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