Biasi a gennaio davanti ai giudici

In aula il banchiere di Verona accusato della bancarotta Bluterma

TERAMO. A gennaio il banchiere industriale Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona, primo azionista italiano di Unicredit, comparirà davanti ai giudici del tribunale di Teramo in composizione collegiale. L'11 sarà in aula per difendersi dall'accusa di bancarotta preferenziale, l'ipotesi di reato per cui è stato rinviato a giudizio dal gup Guendalina Buccella. L'inchiesta è quella del pm Davide Rosati sul fallimento della Bluterma di Colonnella, una delle aziende del gruppo Biasi chiusa nel 2008. E, nei prossimi giorni, dovrebbe essere fissata anche l'udienza preliminare per esaminare l'altra richiesta di rinvio a giudizio presentata nei confronti del banchiere dal pm Bruno Auriemma per il fallimento della Bluradia, l'altra azienda di Colonnella chiusa.

Il tutto mentre a Verona si riunisce il Cda della Fondazione per decidere il rinnovo delle cariche. Il nome di Biasi compare su due diversi fascicoli aperti dalla procura teramana: uno per il fallimento della Bluterma e l'altro per il fallimento della Bluradia. Per il primo il banchiere, all'epoca presidente del consiglio d'amministrazione, è già stato rinviato a giudizio con l'accusa di bancarotta preferenziale. Con Biasi è imputato anche Francesco Salvatore Dattoli, altro amministratore.

Per il fallimento della Bluradia, è imputato con il fratello Eugenio Giovanni e ancora Dattoli. Le due inchieste sul fallimento delle aziende teramane del gruppo Biasi sono partite a distanza di pochi mesi l'una dall'altra. La prima nasce dopo la chiusura della Bluterma. Biasi ne è il presidente del consiglio d'amministrazione e in questa veste, secondo quanto ipotizzato dalla procura, avrebbe utilizzato fondi della società, già ammessa alla procedura fallimentare, a favore di un'altra azienda del gruppo. Le indagini vengono affidate alla Finanza. E' un macchinario scomparso a far insospettire le Fiamme gialle che riescono a ricostruire i movimenti del costoso apparecchio del valore di due milioni di euro finito in Turchia.

Secondo la Finanza quell'apparecchio sarebbe stato sottratto all'attivo patrimoniale dell'azienda fallita. Il che significa che non sarebbe stato usato per soddisfare le richieste di tutti i creditori. Per quanto riguarda il fallimento Bluradia la procura ipotizza la vendita di un opificio ad un'altra società riconducibile al gruppo. Biasi, secondo l'accusa, gestendo la tesoreria attraverso un accordo di "cash pooling" - l'intesa tra società di uno stesso gruppo per affidare a un unico soggetto la gestione delle disponibilità finanziarie - avrebbe utilizzato fondi dell'azienda in procedura concorsuale per fare investimenti in un' altra industria del gruppo. (d.p.)

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