Caporalato, per mamma e figlio chiesto il giudizio immediato

30 Settembre 2024

I due imprenditori teramani indagati per lo sfruttamento di un migrante alloggiato in una roulotte L’accusa: «Aveva 500 euro al mese per occuparsi giorno e notte del bestiame dell’azienda agricola»

TERAMO. A raccontare per sempre il caso, qualsiasi epilogo giudiziario possa avere, resterà l’immagine di quella vecchia roulotte rovente d’estate e gelida d’inverno diventata alloggio di un uomo. A quattro mesi dalle prime misure cautelari, la Procura impacchetta le accuse e chiede il giudizio immediato per mamma e figlio imprenditori agricoli indagati per un presunto caso di caporalato ai danni di un migrante marocchino. A firmare la richiesta è il pm titolare del fascicolo Francesca Zani. Il provvedimento riguarda la donna, la 50enne Nicoletta Di Fabio, titolare dell’azienda agricola di Sant’Atto ma con un altro lavoro, e il figlio 25enne Marco Di Francesco di fatto gestore dell’attività. Il giovane è in carcere, la donna ai domiciliari con l’accusa di aver violato il divieto di dimora a Teramo a cui era stata sottoposta inizialmente nell’ambito dell’inchiesta in cui lei e il figlio sono indagati per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con violazione dei contratti nazionali e delle norme sulla sicurezza del lavoro.
Le indagini dei carabinieri del Nil, il nucleo ispettorato del lavoro, sono scattate dopo la denuncia del migrante che ha raccontato di aver lavorato per quindici ore al giorno per circa un anno occupandosi di un allevamento di vitelli e alloggiando nella roulotte senza corrente elettrica e servizi igienici.Tutto per 500 euro al mese. Ha raccontato di aver risposto a un annuncio su Facebook in cui l’azienda agricola teramana offriva salario, vitto e alloggio per occuparsi della gestione degli animali di una stalla di giorno e per fare da guardiano alla stalla di notte. Nel giugno dell’anno scorso è arrivato a Teramo e da allora, da clandestino, ha vissuto nella roulotte vicino alla stalla. «Io non ho obbligato nessuno a stare in quella roulotte», così l’imprenditore ha replicato alle accuse rispondendo alle domande del giudice nel corso dell’interrogatorio di garanzia, «avevo preparato un alloggio per il lavoratore. Io non ho sfruttato nessuno. Mangiava con noi, mia madre preparava i pasti per noi della famiglia e per lui. Poteva lavarsi nel bagno di casa quando voleva. Si occupava solo della gestione dei vitelli e non dei maiali perché di religione musulmana». Accuse a figlio e mamma che il migrante, ora ospite di una comunità protetta, ha confermato nel corso di un incidente probatorio che si è svolto nei primi giorni di settembre davanti al gip Roberto Veneziano. Nel corso delle indagini i difensori dei due, gli avvocati Franco Patella per la madre e Lidia Serroni per l’uomo, hanno fatto ricorso al tribunale del Riesame che ha confermato le misure cautelari.
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