Commercio, in un anno scomparse 159 attività

La provincia di Teramo è quella che in Abruzzo accusa di più i colpi della crisi Le associazioni di categoria: schiacciati da grande distribuzione e tasse alte

TERAMO. Commercio in asfissia. Volendo continuare nella metafora, la prognosi è sfavorevole per il settore, ma solo in provincia di Teramo. Nel resto d’Abruzzo, stando ai dati della Camera di commercio, il settore tutto sommato para i colpi della crisi. Meglio in provincia di Chieti dove c’è un incremento di imprese attive (120) e di Pescara (263), un po’ meno in quella dell’Aquila (-41) che ancora sconta gli effetti del terremoto del 2009. La vera emorragia di licenze c’è stata in provincia di Teramo che fa segnare un -159. I dati si riferiscono ad ottobre 2014 (il terzo trimestre dell’anno), confrontati con quelli dello stesso periodo del 2013.

Il problema maggiore riguarda il commercio al dettaglio: a Teramo sono scomparsi 116 negozi. Nel commercio all’ingrosso il saldo è sempre negativo (-34) e anche in quello auto e pezzi di ricambio (-17). La provincia di Teramo non risente nemmeno dell’incremento delle licenze per bar e ristoranti presente in tutte le altre province abruzzesi come rimedio anti-disoccupazione per tanti che, senza lavoro, aprono piccoli esercizi pubblici, grazie alle bassissime barriere in entrata (non sono necessarie particolari competenze o grandi capitali). In provincia di Teramo il saldo è pari a zero.

Il crollo del commercio ha anche un impatti visivo molto forte: nei centri della provincia si susseguono una serie di vetrine con i cartelli “vendesi” o affittasi”. Vetrine buie e sporche che conferiscono alla città un aspetto ben poco vivace e attraente.

«Abbiamo iniziato ad avere grandissimi problemi da quando le varie municipalità non hanno capito che la grande distribuzione poteva avere contraccolpi sul commercio urbano», commenta Giammarco Giovannelli, amministratore delegato della Confcommercio provinciale, «non è stato elaborato un piano organico. Anzi negli ultimi 20 anni sono stati ampliati i metri quadrati della grande distribuzione, ignorando la tutela piccolo commercio. E Teramo è una delle località più aggredite, insieme alla Val Vibrata. Il commercio urbano dava lavoro a intere famiglie, non era un'occupazione illusoria, come quella dei grandi gruppi arrivati sul nostro territorio. A questo si è aggiunta crisi dei consumi familiari».

Infatti una indagine del Cresa sui consumi delle famiglie abruzzesi, riferita al 2014, evidenzia che la spesa media mensile di una famiglia è di 2.088 euro, il 26% dei quali è destinato ai consumi alimentari, il 39% alle spese per la casa, l'11% ai trasporti e la quota rimanente alle altre tipologie di acquisti. Rispetto al 2013 il 37% delle famiglie è stato costretto a diminuirla per risparmiare.

Altro problema è che «la politica ha allargato troppo le maglie dei piani commerciali, le licenze sono state liberalizzate: non c'è stata la possibilità di calibrare il settore con la reale domanda che esprime il territorio. Ad esempio ad Alba Adriatica ci sono circa 50 bar, alcuni fanno anche il ristorante, e d'estate si aggiungono anche gli stabilimenti:come fa una cittadina di 11 mila abitanti ad assicurare la sussistenza di queste attività?», conclude Giovannelli.

Il capoluogo è uno dei centri in cui la crisi del commercio è più evidente. «Probabilmente», osserva Giancarlo Da Rui, presidente comunale di Cofesercenti e vice presidente provinciale, «Teramo avendo perso degli uffici istituzionali, ha persoanche l'interesse delle grandi ditte che prima aprivano franchising. Il fatto che non ci siano più uffici – ora si dice che ci saranno tagli anche all’Enel – influisce anche sulla diminuzione del traffico di clienti, acuito dalla crisi dei consumi e dal problema dei parcheggi. I problemi della città sono diversi, non basta fare rotonde sulle strade: ad esempio i parcheggi non ci sono e la tassazione molto alta. Le attività produttive pagano quasi il 50% dell'intero gettito derivante dalla tassa sulla spazzatura. E non si possono autorizzare i bar a mettere i tavolini fuori e poi aumentare del 100% l'occupazione di suolo pubblico. Così si chiude».

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