Damiano morì in moto contro una catena: non ci sono responsabilità di terzi

Il 25enne di Pineto impattò a bordo della sua moto da motocross con una catena di ferro posizionata tra due alberi, riportando lesioni fatali. Il giudice ha definitivamente archiviato l’inchiesta respingendo l’opposizione dei familiari
TERAMO. Non ci sono responsabilità di terzi per la tragica morte di Damiano Bufo, il 25enne di Pineto che nel marzo dell’anno scorso, nelle campagne di Bisenti, impattò a bordo della sua moto da motocross con una catena di ferro posizionata tra due alberi, riportando lesioni fatali a collo, vertebre e midollo spinale. Il giudice per le indagini preliminari Roberto Veneziano ha definitivamente archiviato l’inchiesta, respingendo l’opposizione dei familiari di Bufo alla richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero Monia Di Marco. A finire nel registro degli indagati dopo il tragico incidente erano stati tre componenti della famiglia Salini di Bisenti, proprietari del fondo agricolo in cui Bufo aveva perso la vita: fondo ereditato da un congiunto che, così ha accertato l’inchiesta, su quella sterrata che conduceva a una casa poderale aveva apposto la catena almeno 15 anni prima dell’incidente.
La famiglia di Bufo, rappresentata dall’avvocato Jody Joseph Aliano, aveva chiesto nuove indagini, una perizia cinematica e una consulenza sulla catena contestando la ricostruzione degli inquirenti, secondo la quale il ragazzo procedeva a velocità elevata su quella sterrata, peraltro mai percorsa prima, e la catena non era tesa ma flessa, ad altezza di un metro dal suolo nella parte centrale: elemento, quest’ultimo, che sembrava collidere con l’esito dell’autopsia, nella quale si era rilevata una violenta azione pressoria sul collo della vittima.
Il giudice Veneziano ha però ritenuto non sussistere responsabilità a carico degli eredi Salini – rappresentati dall’avvocato Tommaso Navarra – aderendo alla ricostruzione della Procura, basata sul rapporto dei carabinieri di Bisenti intervenuti subito sul luogo, e giudicando inutili sia la perizia sulla velocità della moto, sia la consulenza sulla catena. Per Veneziano sono determinanti le testimonianze sia degli amici di Bufo, che lo accompagnavano nel giro in moto e che lo avevano visto accelerare imprudentemente a forte velocità su quella sterrata sconosciuta, sorpassandoli, sia di padre e figlio di Bisenti che quel giorno avevano percorso la stradina su una Panda e che avevano garantito che la catena non fosse tesa ma penzolante, tanto che per permettere all’auto di sopravanzarla uno di loro l’aveva alzata sopra il tettuccio. Non basta, dunque, la mera contitolarità del fondo per attribuire responsabilità agli indagati.
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