Ha ammazzato il papà, condannato a 14 anni. Il giudice: «Rabbia per una vita da recluso»

Teramo, omicidio della stazione del 2023. Depositate le motivazioni della condanna del figlio Francesco che ha sferrato 92 coltellate al papà Mario Di Rocco: «Non voleva solo dare una lezione al padre-padrone ma annientare definitivamente il genitore»
TERAMO. Quando ha sferrato 92 coltellate voleva uccidere, non «limitarsi a dare una lezione al padre-padrone», ma in quel momento la rabbia è esplosa «dopo una vita da carcerato». Il codice di procedura scandisce 47 pagine di motivazioni di una sentenza, ma la lingua del diritto non può prescindere da tutto il resto.
Tutto il resto è il contesto in cui è maturato l’omicidio di Mario Di Rocco, 83enne ex capostazione di Teramo, assassinato nel 2023 dal figlio Francesco, 49enne studente universitario fuori corso, reo confesso, condannato a 14 anni di reclusione al termine del processo di primo grado. La Corte d’assise, dopo che una perizia psichiatrica lo ha ritenuto capace di intendere e di volere al momento dei fatti, ad aprile lo ha condannato accogliendo in toto la richiesta della pm Monia Di Marco che a Di Rocco ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante (in questo caso quello del vincolo di parentela) proprio in virtù di quel vissuto di violenza psicologica, fisica e assistita che l’imputato ha conosciuto sin da quando era bambino e vedeva il papà picchiare la mamma. Una attenuante che i giudici della Corte d’assise (presieduta dal giudice Francesco Ferretti, con a latere Marco D’Antoni e i popolari) hanno riconosciuto nello stato d’ira così come stabilisce l’articolo 62 bis del codice penale: «l’avere agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui».
Scrive il giudice Ferretti nelle motivazioni: «L’innesco della condotta omicida dell’imputato è certamente da rinvenirsi in una reazione d’impeto rispetto alle frasi pronunciate dal padre, ma l’azione era stata successivamente sorretta dalla rabbia. Di Rocco sentiva di vivere “come da carcerato”, sicché di fronte all’ennesimo rimprovero del padre, il quale gli aveva minacciato di togliergli la corrente elettrica di buttarlo fuori casa, aveva avuto una letterale esplosione di rabbia, evidentemente troppo a lungo repressa. Sussistono tutti gli elementi costitutivi dello stato d’ira, trattandosi di condotta oggettivamente determinata dal fatto ingiusto altrui, tenuto conto delle condizioni di vita imposte dalla vittima all’imputato nel corso di tutta la sua vita e considerata la minaccia, effettivamente esagerata, del padre di “togliere la corrente elettrica” e di “buttare fuori di casa” il figlio se questi non avesse “immediatamente” rimosso gli adesivi dell’insalatiera».
E così precisa: «In ordine al bilanciamento tra le circostanze specificate, l’attenuante di cui all’articolo 62, può essere ritenuta prevalente sulle contestate aggravanti in considerazione di tutti gli elementi sopra considerati e del contesto complessivo in cui il delitto è maturato, trattandosi di reazione in stato d’ira a una condizione familiare imposta dalla vittima e subita dall’imputato in tantissimi anni, ulteriormente aggravatasi dopo la morte della madre, a fronte di una personalità obiettivamente remissiva e “subalterna” di Francesco Di Rocco» . La difesa, rappresentata dall’avvocata Federica Benguardato, ha annunciato ricorso in appello.
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