I Di Patrizio: giustizia negata a Lorenzo
Annegò a 14 anni nei vasconi del Consorzio industriale, dove entravano tutti. La famiglia: sbigottiti dalle assoluzioni
TERAMO. Da cinque anni chiedono verità e giustizia, da cinque anni ricevono solo schiaffi. I familiari di Lorenzo Di Patrizio, il ragazzo teramano di 14 anni che nel luglio del 2009 annegò in uno dei vasconi del Consorzio per lo sviluppo industriale, in contrada Carapollo, hanno accolto con sbigottimento la sentenza che alcuni giorni fa ha mandato assolto dall’accusa di omicidio colposo, per non aver commesso il fatto, Massimiliano Gramenzi, ex coordinatore del settore tecnico del Consorzio. Per lui la stessa procura aveva chiesto l’assoluzione. Il fatto – oggettivo – che da anni prima della tragedia ci fosse un varco nella recinzione dei vasconi, grazie al quale molti estranei entravano facilmente nell’area e grazie al quale Lorenzo e tre suoi amici quel pomeriggio arrivarono ai vasconi, per la magistratura teramana – inquirente e giudicante – a quanto pare non ha un nesso con la morte del ragazzo.
Bisognerà leggere le motivazioni della sentenza di assoluzione emessa dal giudice Flavio Conciatori, ma la famiglia Di Patrizio (che era parte civile nel processo) non ne può più. A parlare anche per papà Sandro, mamma Rosella e il fratello Carlo è Francesca, sorella di Lorenzo: «Finora non abbiamo mai parlato, ma dopo cinque anni passati ad opporci alle richieste di archiviazione fatte dalla procura e due diversi processi finiti con altrettante assoluzioni dobbiamo dire qualcosa perché siamo indignati. Sono stati cinque anni di prese in giro, è vergognoso come ha operato dall'inizio la magistratura. Non capiamo perché invece di chiedere archiviazioni non hanno fatto ulteriori indagini, disposto una perizia, sequestrato l'area». Dei tre dirigenti del Consorzio indagati inizialmente era finito a processo il solo direttore dell’ente Roberto Paternicò, assolto l’anno scorso dal tribunale perché, recita la sentenza, la competenza specifica sulle manutenzioni non era sua. Una circolare del dicembre 2008 affidava il compito di dirigente del settore tecnico a Gramenzi, e quindi scagionava Paternicò, ma anche Gramenzi – per il quale, dopo le richieste di archiviazione avanzate dal pm, il gip Giovanni Cirillo aveva deciso l’imputazione coatta– è stato assolto. «Non ce l’aspettavamo», continua Francesca Di Patrizio, «è un dato di fatto che si entrava dove non si poteva entrare, il paletto era rotto da 15 anni. Mia madre dice che Lorenzo l'hanno ucciso più volte».
A rendere più atroce la vicenda è il sospetto che Lorenzo sia stato spinto in acqua, per uno scherzo rivelatosi tragico, da uno degli amici. «Non abbiamo detto mai niente neanche contro i ragazzi», continua Francesca, «semmai sono loro che ci evitano. Prendiamo atto che per loro è stata archiviata l’imputazione di falsa testimonianza, ci risulta che resta in piedi un’indagine per omicidio colposo della procura dei minorenni a cui la procura di Teramo ha trasmesso gli atti. Ma non c’importa se loro vengono condannati o meno, né c’importa dei soldi. Noi vogliamo giustizia». L’avvocato dei Di Patrizio, Nicola Rago, azzera subito il filone della spinta fatale: «Che prove ci sono? Secondo me L'Aquila ha già archiviato, come aveva archiviato la prima indagine sui tre. Io non ho impugnato l’assoluzione di Paternicò per far diventare la sentenza definitiva e usarla nel processo contro Gramenzi, Paternicò è diventato un testimone a tutti gli effetti riferendo della circolare del dicembre 2008. A questo punto io non solo appello la sentenza Gramenzi, ma vado anche in Procura generale per farla appellare dalla pubblica accusa».
«Non vogliamo mollare, è certo che andiamo avanti», conferma Francesca.
©RIPRODUZIONE RISERVATA