Teramo

La storia del prof Profeta: 15mila libri e riviste nella sua collezione 

L’illustre intellettuale teramano ha 97 anni, è stato ordinario di Sociologia: «Spero di poter affidare le mie raccolte a un ente pubblico»

TERAMO. Tra i libri più preziosi e amati dal professore le prime edizioni di due volumetti di scrittrici viaggiatrici inglesi del primo Novecento, che raccontarono l’Abruzzo con testi e illustrazioni: “In the Abruzzi” di Anne Mac Donell, con gli acquerelli di Amy Atkinson, nell’edizione del 1908 della londinese Chatto&Windus, e “Through the Apeninnes and the Lands of the Abruzzi” di Estella Canziani, autrice di scritti e disegni, pubblicato nel 1928 dalla Heffer&Sons a Cambridge. Due tra le tante perle nella sterminata collezione libraria dell’antropologo Giuseppe Profeta, 97 anni e una lucidità e arguzia invidiabili.

L’illustre intellettuale teramano, autorità nel campo degli studi demoetnoantropologici, è stato ordinario di Sociologia nelle università di Teramo, L'Aquila, Chieti e della Calabria, direttore di vari istituti scientifici, preside di facoltà, autore di tanti saggi socio-antropologico. La sua collezione di libri, riviste, enciclopedie, dizionari, oltre 15mila pezzi, occupa un intero appartamento, tre piani sopra l’abitazione del professore, che sale agile le scale facendo strada verso lo scrigno di sapere, un labirinto di scaffali, salottini, studioli. Sempre a piedi, Profeta scende nel garage, dove ha riunito la collezione di vasi, 600 oggetti di rame (tra cui conche abruzzesi di varie fogge), legno, metallo, vetro, cristallo, ceramica, plastica, vasi antropomorfi, zoomorfi, fitomorfi. «Vengono da tutta Italia e dall’estero, Bulgaria, Romania, Ungheria. Vasi del pellegrino, borracce, vasi dipinti e grezzi, dai più decorati ai più umili, perfino una rara trappola in vetro per le mosche. Ho messo da parte ogni forma particolare. Ho tutte le forme tipiche castellane, dalle zuppiere ai vasi per pomodori» spiega Profeta «Sono diventato prigioniero della mia collezione. Ho imparato troppo, adesso non voglio imparare più niente. “Tutto oblia” dice Leopardi (nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, ndr). Valevano la pena tanti sacrifici?».

Il desiderio più grande del professore, che cita spesso Foscolo, Leopardi, Manzoni («la mia trinità esistenziale»), è affidare le sue raccolte a un ente pubblico perché possano essere fruite dalla collettività. «Ho scritto una lettera al sindaco di Teramo e una al presidente della Regione, mettendo a disposizione la collezione di volumi e la raccolta museale di contenitori vascolari». Nel corpus librario testi di folclore, antropologia, sociologia, psicologia, filosofia, letteratura, poesia, le religioni tutte, vite di santi, arte, musica, turismo, annate di Selezione dal Reader’s Digest dai primi anni Sessanta.

Un’intera stanza è dedicata alle enciclopedie, piccole e grandi, tra cui l’introvabile Enciclopedia tedesca del folclore. Un’altra è riservata all’abruzzesistica, al folclore, alla devozione popolare: le annate della Rivista Abruzzese dall’inizio; così pure per Lares, la più antica tra le riviste di scienze demoetnoantropologiche, di cui Profeta ha tutti i numeri dal 1912. Molti suoi libri sono introvabili nelle biblioteche pubbliche, per esempio quelli dedicati alla musica popolare abruzzese, corredati da una ricca discoteca, «libri e dischi studiati dagli etnomusicologi, che spesso vengono qui».

Le prime pietre del “monumento pazzesco”, come Giuseppe Profeta stesso definisce le sue collezioni, furono poste dal nonno paterno, di cui il professore rinnova il nome: «Un soldato contadino senza terra e senza casa che riportò dal terremoto di Casamicciola, mettendolo in salvo, un libro sulla Madonna di Pompei cucito con ago e filo, trovato tra i sassi. Io ho aggiunto i santini per bimbi, i miei libri dalle elementari all’università, i libri devozionali. Mio padre, sarto contadino, era molto pio. Nella mia famiglia erano molto religiosi, essendo poveri si sono difesi dalla natura matrigna appoggiandosi alla fede, coraggio psicologico dei poveracci. C’è una storia antropologica e geografica alla base di questo monumento pazzesco».
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