Morto all’ospedale di Atri a 27 anni, il pm: "Condannate tre medici"

La pubblica accusa chiede un anno e tre mesi ciascuno per i professionisti del caso Piccioni ma i periti nominati dal tribunale hanno escluso responsabilità per la fine del giovane rosetano

ROSETO. La superperizia disposta dal giudice esclude ogni responsabilità dei medici imputati, ma la pubblica accusa chiede la condanna ad un anno e tre mesi per ciascuno dei tre professionisti. A sei anni dalla morte di Giuseppe Piccioni, il 27enne rosetano deceduto all’ospedale di Atri dopo un ricovero di 31 giorni iniziato con un’appendicectomia, la verità giudiziaria è ancora tutta da scrivere in un procedimento che ha una sola certezza: un ragazzo innamorato della vita che non c’è più.

La sentenza del giudice monocratico Franco Tetto è attesa per metà gennaio e nell’udienza di lunedì pomeriggio la pubblica accusa (rappresentata in aula dal pm Roberta Roccetti) ha chiesto la condanna ad un anno e tre mesi ciascuno per il primario del reparto di chirurgia Osvaldo De Berardinis, dei chirurghi Alfredo Torretta e Alfonso Prosperi. Tra gli imputati c’era anche il nefrologo Maurizio Tancredi, scomparso qualche mese fa, per cui il pm ha chiesto il non doversi procedere per morte del reo.

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Dopo la requisitoria del pm e l’arringa delle parti civili (rappresentata dai legali Claudio Iaconi e Barbara Castiglione), è stata la volta dei legali del collegio difensivo composto da Tommaso Navarra, Giovanni Gebbia, Maurizio Dionisio e Gianfranco Jadecola. Il caso Piccioni iniziò la notte dell'11 luglio del 2010, quando il giovane accusò fortissimi dolori all'addome. La mattina successiva si fece accompagnare da un familiare al pronto soccorso dell'ospedale di Atri, ma da quel momento per lui iniziò un calvario che si concluse un mese dopo con la morte. In ospedale venne sottoposto ad un'appendicectomia, ma in poco tempo le sue condizioni peggiorarono. Fino ad arrivare al coma. Il giovane morì il 13 agosto del 2010. Dopo l’esposto dei familiari scattò l’inchiesta della procura: il pm Irene Scordamaglia (ora in servizio alla Cassazione) dispose una consulenza medica che esclude da subito una contaminazione da anisakis (parassita che si trova nelle alici crude), come era stato ipotizzato in un primo momento.Al contrario, secondo i consulenti della pubblica accusa, la morte sarebbe stata causata da una forte disidratazione.

Cosa, quest’ultima, smentita dai consulenti del tribunale. I periti Claudio Modini e Maurizio Busi non hanno individuato nessuna responsabilità mediche nè negligenze, indicando in una diffusa infezione batterica la causa della morte ed escludendo quindi la disidratazione. Secondo i super esperti nominati dal giudice i medici che in quei giorni si occuparono, a vario titolo del giovane rosetano, «fecero tutto quello che era umanamente possibile per salvarlo trovandosi a gestire una situazione veramente molto difficile».(d.p.)

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