Odissea in ospedale a Parigi

Prima la diagnosi sbagliata, poi un conto da 13mila euro.

TERAMO. Un lavoretto a Parigi, per imparare il francese, si è trasformato in un incubo per una ragazza teramana. La ventenne si è sentita male, in ospedale è stata curata in maniera inappropriata e alla fine si è vista recapitare a casa un conto da 12.494 euro per le cure.
V.D.F. tramite l’Eures di Pescara, che si occupa di far incontrare domanda e offerta di lavoro in Europa, venne assunta per tre mesi all’Eurodisney.

LA MALATTIA. «Arrivata a Parigi, dopo una decina di giorni mi sentii male, con una febbre molto alta», racconta la ragazza, «in ospedale mi dissero che mi dovevano fare un intervento a una cisti coccigea. Mi chiesero se avevo l’assicurazione e presentai il tesserino sanitario italiano, valido in Europa. Mi risposero che non sapevano che farsene. Alla fine mi ricoverarono lo stesso. Peraltro avevo il cellulare scarico e non mi permisero nemmeno di chiamare a casa a Teramo perchè all’estero costa».

IL CONTO. La ragazza viene operata e dopo una quindicina di giorni riesce, non senza problemi, a tornare a casa dove nei fatti guarisce. Dopo un paio di mesi arriva a casa a Teramo una fattura dell’ospedale da 12.494 euro. I fatti raccontati risalgono all’agosto 2007. «Da allora si è innescata un’odissea che si è conclusa da poco», racconta la mamma, R.P., «alla vista della fattura penso sia errore, così vado alla Asl di Teramo, ma mi dicono che devo pagare e poi mi rimborseranno. Mi sono rifiutata: siamo in Europa e non si capisce perchè un cittadino europeo debba pagare. Dopo 20 giorni arriva una nuova lettera, peraltro per posta ordinaria: l’ospedale aggiunge il pagamento di 500 euro di interessi e annuncia l’invio dell’ufficiale giudiziario». I giorni passano, il problema diventa serio e la famiglia si rivolge a un legale. La Asl, intanto, fa sapere che non ritiene di dover anticipare nulla per conto della famiglia.

Inizia una peregrinazione che dura mesi e mesi. Per R.P. la soluzione dell’intrigo burocratico internazionale diventa un secondo lavoro. «Chiamo l’ambasciata d’Italia a Parigi che si interessa del caso», ricorda R.P., «ma dice che l’ospedale non accetta la tessera sanitaria italiana senza dare spiegazioni. Mi rivolgo senza esito all’Eures e all’ambasciata francese a Roma. Mi rivolgo all’assessorato regionale alla sanità, l’allora assessore Berardo Mazzocca fa anche un quesito al ministero della Sanità». Il colpo di fortuna arriva quando tutto sembra perduto. Su internet R.P. trova la Solvit, organismo del Consiglio dei ministri deputato a risolvere problemi nei rapporti fra cittadini europei. «Loro scrivono all’Eures nazionale e al ministero francese. E finalmente, nell’ottobre scorso, mi arriva la lettera in cui mi si dice che non devo pagare più. Ho dovuto versare solo un ticket, meno di 300 euro».

LA DENUNCIA. Ma la questione non finisce qui. Dopo due anni di ansie, ora è il momento della riscossa. «Ora presenterò reclamo per il trattamento sanitario ricevuto da mia figlia a Parigi», annuncia la madre, «mia figlia è stata curata per la cisti. Ma dopo persisteva la febbre e insistevano che era un’endocardite». «Mi davano antiobitici fortissimi per l’endocardite», ricorda V.D.F. «e non mi volevano dimettere: dicevano che era rischiossimo. In realtà era solo mononucleosi. La sostituta del nostro medico di base aveva intuito a chilometri di distanza di che si trattava». «Riuscimmo dopo giorni a farla trasferire in un altro reparto dove le fecero tutte le analisi, videro che non era endocardite e la dimisero. E’ stato terribile, non riuscivo a farla uscire dall’ospedale. Ora voglio giustizia», conclude R.P.