Santoleri, le difese ai giudici: «Solo indizi, i due vanno assolti» 

Giuseppe e il figlio Simone in primo grado sono stati condannati a 24 e 27 anni di carcere La Procura generale ha chiesto la conferma, la nuova sentenza è prevista per il 16 dicembre

TERAMO. Il filo conduttore srotolato da entrambi i difensori è uno solo: «Accuse sostenute solo da indizi». E a conclusione delle corpose e certosine arringhe la stessa conclusione: «Gli imputati vanno assolti».
Ieri è stato il giorno delle difese nel processo d’Appello a Giuseppe e Simone Santoleri, padre e figlio (il primo di 71 anni e il secondo di 47) accusati dell’omicidio della 64enne pittrice Renata Rapposelli, originaria di Chieti, ex moglie del primo e mamma del secondo. Entrambi sono accusati di omicidio volontario aggravato e di occultamento di cadavere. Secondo l’accusa il 9 ottobre del 2017 la donna sarebbe stata soffocata nell’abitazione di Giulianova per questioni economiche e poi portata sulle sponde del fiume Chienti, nelle Marche. In primo grado la Corte d’assise (collegio presieduto dal giudice Flavio Conciatori, a latere Lorenzo Prudenzano) ha condannato Simone a 27 anni (24 per l’omicidio e 3 per l’occultamente di cadavere) e Giuseppe a 24 di cui 21 per omicidio e tre per occultamento. Nel corso di un interrogatorio reso in carcere durante le indagini preliminari Giuseppe ha sostenuto che a soffocare la donna sia stato il figlio Simone.
In Appello Simone è difeso dall’avvocato Cristiana Valentini e Giuseppe dall’avvocato Federica Di Nicola che ha concluso chiedendo per il suo assistito, proprio per le diverse posizioni processuali, una sentenza che tenga in considerazione quest’aspetto. Nell’udienza di ieri c’è stata anche l’arringa dell’avvocato Annamaria Augello che rappresenta l’altra figlia della vittima che si è costituita parte civile.Nella scorsa udienza il procuratore generale Alessandro Mancini ha chiesto la conferma delle due condanne parlando «di una sentenza di primo grado ammirevole e di un impianto accusatorio granitico».
Un omicidio d’impeto con un movente economico: così, in 103 pagine di motivazioni, i giudici di primo grado hanno spiegato il perché della condanna. Secondo i magistrati, si legge a questo proposito nelle stesse motivazioni, «Giuseppe aveva maturato un’esposizione debitoria nei confronti della moglie e non aveva alcuna intenzione di adempiere. Simone aveva da tempo manifestato la volontà di far desistere la madre dal perseguimento delle somme dovute al marito a titolo di arretrati». Per i giudici di primo grado Simone avrebbe messo in atto una serie di depistaggi: «Va osservato che il tentativo di Simone Santoleri di proporre, per vero sin dalle indagini preliminari (ciò che conferma la lucidità dell’imputato nel depistaggio), uno scenario alternativo che coinvolge persona a lui molto legata costituisce esattamente un indizio a carico del prevenuto, in quanto lo sforzo profuso nell’allontanare da sé ogni sospetto fa trasparire la consapevolezza della gravità del litigio verificatosi all’interno dell’abitazione e l’enorme rilevanza di tale fatto ai fini della compiuta ricostruzione della vicenda». C’è un indizio a cui i giudici di primo grado fanno riferimento a pagina 90 delle motivazioni: è quello derivante da una intercettazione ambientale. Si legge: «Può essere qualificata come una vera e propria confessione stragiudiziale, pienamente utilizzabile siccome cristallizzata in intercettazioni telefoniche, la domanda retorica posta da Simone Santoleri durante un colloquio con il padre il 12 gennaio del 2018: “No no, ci sta, ci sta l’ergastolo, come non ci sta, ci sta ci sta! Ho ucciso mamma, scherzi? Nessuno dice: ma quella non ci ha fatto già soffrire abbastanza, no? Quanto ci ha fatto soffrire quella? Uuuh! Quante ce ne ha fatte passare? Di chi è la colpa?”». Sentenza il 16 dicembre.
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