Abruzzo, pericolo Dazi. Trump minaccia pasta e vino, i produttori: «Usa insostituibili»

A rischio un mercato da quasi 200 milioni di euro. Il settore vitivinicolo è quello più esposto
PESCARA. C’è posta per l’Abruzzo e non porta buone notizie. Oggi dodici Paesi riceveranno una lettera firmata Donald Trump con la sua proposta di accordo sui dazi che, si dice, dovrebbero entrare in vigore a partire dal primo agosto. Una cosa sola è certa: sarà un’offerta «prendere o lasciare», senza margine per le trattative. Tra i destinatari della missiva c’è quasi certamente l’Unione europea, che intanto prosegue i negoziati con la sua controparte a stelle e strisce anche se, fino ad ora, senza risultati. E infatti Trump ha alzato nuovamente il tiro, minacciando un’ulteriore tassazione del 17% sull’export agroalimentare europeo, un settore che vale 7,8 miliardi di euro per l’Italia e importantissimo anche per l’Abruzzo, con i suoi 183 milioni di euro di fatturato. Trump scommette ancora una volta sulla politica dell’aggressività. I produttori di vino, pasta e tutte le altre eccellenze abruzzesi che fanno conoscere la nostra regione oltreoceano si dividono tra chi teme la spericolatezza del tycoon e chi meno, ma tutti sono d’accordo su un punto: il mercato statunitense è insostituibile.
I NUMERI IN ABRUZZO
Secondo lo studio di Cia-agricoltori italiani, a essere più colpita sarebbe la provincia di Chieti, che esporta verso gli Stati Uniti il 20% della produzione destinata all’estero, per un valore di 124.690.455 euro. Segue a ruota Pescara con il 24% dei prodotti esportati in Usa, per 30.216.921 euro, e la provincia di Teramo, che lì esporta il 10% dei prodotti per una cifra di 25.362.693 euro. Più contenuti, invece, i numeri dell’agroalimentare per la provincia dell’Aquila, che esporta nel mercato a stelle e strisce solo il 5% dei prodotti per un valore di 2.532.606 euro (ma è più esposta in altri settori, in primis quello farmaceutico).
UN MERCATO CHE VALE
Il vitivinicolo abruzzese rischia di essere il settore più colpito dai dazi targati Trump, perché quello statunitense è un mercato che ama i suoi prodotti. «Non può che essere una cattiva notizia, soprattutto se arriviamo a una tassazione del 17%», commenta Alessandro Nicodemi, presidente del consorzio Tutela vini d’Abruzzo, «Quello americano è un mercato maturo e ricco. Noi abbiamo iniziato a investirci sugli 50 anni fa e stiamo raccogliendo ora i frutti. Impossibile oggi trovarne un altro». Un problema aggravato dal fatto che la contrazione dell’export avrebbe ricadute su più livelli. «Sono circa 500 le aziende abruzzesi che affrontano il mercato, ma la filiera del vino conta complessivamente 15mila produttori d’uva. Numeri che raccontano l’entità del rischio», prosegue Nicodemi, che poi si concentra sulle peculiarità del settore: «La terra non si può abbandonare, va curata sempre. Anche quando il mercato si blocca, ci sono dei costi che rimangono invariati». Barriere commerciali che, tra l’altro, sono solo gli ultimi dei tanti ostacoli che le cantine hanno affrontato negli ultimi anni, come spiega Rocco Pasetti, della cantina La Contesa di Collecorvino: «Nel 2023 abbiamo perso il 70% della produzione per a causa di un fungo che ha attaccato l’uva. L’anno scorso, invece, la siccità ha ridotto la produzione del 50%. Quest’anno che la vendemmia dovrebbe essere discreta ci troviamo di fronte ai dazi, e il 75% della mia produzione è per l’export, di cui il 50% va in America. Pasetti conosce bene il settore, è alla sua cinquantunesima vendemmia. Racconta che in questo mezzo secolo «ne ho viste di tutti i colori» e che «il mercato del vino esiste da tremila anni ed è stato capace di resistere sempre. Tra dazi, clima, battaglia per le etichette e la riduzione dei consumi è difficile fare previsioni. Una cosa è certa: senza i mercati esteri noi non sopravviviamo». Anche Enrico Marramiero si interroga sul futuro del mercato statunitense. Le sue vigne si trovano a Rosciano, nelle Terre dei Vestini, una delle sottozone doc del Montepulciano, un’eccellenza vinicola particolarmente apprezzata negli Stati Uniti, al punto che il Paese ha sorpassato la Germania diventando il primo importatore mondiale del prodotto. Lui cerca di vedere la vicenda da un’altra prospettiva: «Questa situazione è quasi più imbarazzante per il popolo americano che per noi. Sono i primi danneggiati. Pensate ai distributori, alcuni di loro sono già falliti. Per come è fatto il sistema americano, ci sono delle moltiplicazioni dei prezzi che portano il costo del vino allo scaffale ad aumentare in maniera esponenziale».
LE POSSIBILI SOLUZIONI
Di fronte a una dipendenza così forte dal mercato statunitense, che fare? Secondo Marramiero, per quanto «il dialogo sia sempre preferibile», è tempo di prendere atto del «comportamento schizofrenico del presidente Usa e cominciare a muoversi, perché non possiamo stare fermi, ma senza iniziare una guerra dei dazi». Anche secondo Nicodemi si tratta di evitare «il muro contro muro, perché i dazi sarebbero un danno per tutti e due». Più duro il presidente di Confcommercio Abruzzo Giammarco Giovannelli secondo cui si tratta di «scelte scellerate. Le nostre piccole medie imprese hanno saputo costruire dei prodotti di nicchia che vengono apprezzati e richiesti saranno le prime vittime di questo sistema disumano». Giovannelli parla di un’Italia con le «chiusa all’angolo» e lancia un appello: «Se il prezzo da pagare per sanare l’economia americana è questo, chiedo al governo nazionale di intervenire, perché non ce lo possiamo permettere. Va bene il dialogo, ma ci sono dei confini oltre i quali non si può andare». C’è anche, però, chi è più ottimista. Il presidente di Confagricoltura L’Aquila Fabrizio Lobene, per quanto esprima «grande preoccupazione» crede che alla fine Trump «farà un passo indietro». Anche Federico De Cerchio, della cantina familiare De Cerchio, è tranquillo: «Non sono preoccupato dei dazi. Anche se l’aumento dei prezzi può farci perdere competitività rispetto ad altri Paesi produttori come Nuova Zelanda, Argentina o Cile, con cui gli Stati Uniti non hanno una bilancia commerciale a sfavore, il nostro vino rimarrà forte. Siamo un riferimento nel mercato americano». Più che alle barriere commerciali, a preoccupare De Cerchio è «l’incertezza nel breve termine, perché credo che nel medio-lungo periodo non ci saranno dazi, che sono misure sempre temporanee. L’incertezza, invece, incide già da oggi, perché gli importatori si preoccupano e magari aspettano prima di acquistare il prodotto, perché vogliono vedere cosa succederà». Insomma, in questa interminabile partita di poker con l’Unione europea, Trump ha deciso di alzare ancora una volta la posta in gioco mettendo sul piatto anche il settore agroalimentare. Vedremo come reagirà l’Unione europea. L’Abruzzo, intanto, alza la guardia.