Dalla musica all’eleganza: gli abruzzesi che han no stoffa per l’alta moda nel mondo

Tutto inizia dal raffinato compositore Francesco Paolo Tosti a Buckingham Palace e poi l’arte di Caraceni, la Brioni che veste James Bond, fino ai giorni nostri con Cucinelli
Povertà e contaminazione. Tenacia e abilità. Alto e basso. Nasce così quel filo della moda maschile abruzzese che ha influenzato – e influenza ancora oggi – il mondo. Metti una star della musica internazionale che non dimentica le sue origini. I suoi parenti contadini. In mezzo, un giovanissimo sarto squattrinato ma dal talento cristallino. Ecco, così nasce la favola perfetta.
Tosti, il compositore elegante
All’inizio del Novecento, quando l’Europa era ancora un mosaico di corti reali e salotti borghesi, un uomo di Ortona sedeva al pianoforte di Buckingham Palace: Francesco Paolo Tosti (1846-1916). Compositore raffinato, amatissimo dalla regina Vittoria. Scriveva romanze, dirigeva concerti, indossava completi cuciti dai migliori sarti di Savile Row, la strada della moda londinese. Tosti non era solo un musicista: era uno stile. Nel mondo della moda, e nelle rispettive epoche, come Tosti forse solo i Beatles sono riusciti a cambiare in maniera così netta il modo di vestire e il costume facendo musica. Oggi lo definiremmo uno straordinario influencer. All’apice della sua carriera, Tosti non dimenticò mai le sue radici. Alla corte inglese il guardaroba andava rifatto una volta l’anno. Così, tra un concerto e una cena di gala, spediva in Abruzzo i suoi vestiti dismessi: giacche, pantaloni, cappotti di lana inglese. Lusso da adattare a una vita più semplice. Quei capi di alta moda finivano a Ortona, nelle mani di un sarto-ragazzo, attento e curioso: Domenico Caraceni (1880-1940). Lui allora non lo sapeva, ma tra le mani aveva il suo futuro.
Caraceni, il sarto dei contadini
Caraceni lavorava alla piccola bottega del padre Tommaso, che di figli ne aveva tredici. Domenico per portare lavoro alla bottega girava con banchetto di legno, con dentro tutto l’occorrente. Il suo segreto, aveva due occhi precisi come un goniometro. Girava per le campagne tutt’intorno a Ortona, entrava nelle case di famiglie numerose, prendeva misure “a occhio”. Non sbagliava mai, o quasi. Era veloce. Affidabile. Confezionava capi d’abbigliamento robusti, pensati per resistere al lavoro nei campi, al tempo, ai figli che li avrebbero ereditati dal più grande al più piccolo. Si usava così nelle campagne. E non solo. Ma il giovane Domenico, quando si trovò tra le mani quei vestiti di Tosti – cuciti a Londra – non si limitò ad adattarli. Li smontò. Li studiò. Li capì. Assimilò i segreti della costruzione inglese, la logica nascosta nei punti. La moda anglosassone era iper-formale, influenzata com’era dal rigore marziale delle divise dell’esercito imperiale britannico. E lui la trasformò. Adattò la giacca inglese alla “spalla abruzzese”, al petto italiano, al portamento di chi lavora ma sa stare dritto. Le conferì una morbidezza di forma che sarà il suo marchio di fabbrica. «Il mio obiettivo è creare abiti che si adattino perfettamente al corpo del cliente, esaltandone la personalità senza mai sovrastarla»: Caraceni riassume così la sua arte.
Una famiglia, cinque
sarti-ambasciatori
“Emigrato” a Roma, nel 1913 Caraceni apre il suo laboratorio nella capitale. Porta con sé la famiglia. Cinque figli – Augusto, Galliano, Mario, Ettore e Antonio – ognuno con una linea personale. Loro imparano anche con gli occhi come il padre prendeva le misure. Poi scelgono la loro strada. I Caraceni aprono sedi a Milano e Parigi. Stessa cura, stesse mani. Vestono il re. Mussolini. Totò. Gary Cooper. Gianni Agnelli. Per un Silvio Berlusconi presidente del consiglio – non più giovanissimo e un po’ imbolsito – inventarono una “piombatura” formidabile della giacca. Invisibile a occhio nudo, ma che lo slanciava come un quarantenne. D’altronde entrare da Caraceni non era solo scegliere un abito. Era scegliere come apparire al mondo.
Fonticoli, il visionario di Penne
La scuola abruzzese dei sarti ha avuto un altro campione mondiale: Nazareno Fonticoli (1912-2005). Lui è dell’Abruzzo interno. Nasce tra le colline di Penne. È un bambino prodigio, inizia a cucire da adolescente. L’età era piccola, ma la stoffa era da grande. Abile, elegante, concreto. Fonticoli lascia Penne. Va prima a Milano, poi a Roma. La leggenda vuole che abbia lavorato anche per Caraceni, forse per poco. Ma lui vuole di più: una sartoria moderna, capace di parlare il linguaggio del mondo. La guerra era finita da poche settimane. E parte con la realizzazione del sogno. Nel 1945, insieme a Gaetano Savini, fonda la Brioni. “Brioni”: già il nome è una dichiarazione. Viene da un piccolo arcipelago adriatico davanti all’Istria – le Isole Brioni – allora italiane. Un rifugio di lusso della Belle Époque, creato dagli austriaci. Prima della guerra ci andavano i nobili, poi passò alla Jugoslavia e divenne la residenza estiva del leader Tito. Quel nome, Brioni, era una promessa di eleganza discreta ma riconoscibile. Fonticoli e Savini lo sapevano. E lo scelsero. «Non si tratta solo di cucire abiti, ma di creare uno stile che rappresenti l’eleganza e la personalità di chi li indossa» il manifesto e la filosofia di Nazareno Fonticoli.
A Penne la Fabbrica-scuola
Il “Brioni Roman Style” conquistò la Dolce Vita, poi Hollywood. Marlon Brando, John Wayne. La maison aprì a New York, Parigi, Tokyo e Capri. Ma Penne restava il cuore. Lì Fonticoli volle una fabbrica. E una scuola. Per insegnare ai ragazzi quello che sapevano le mani dei padri. A Penne scelse un promettente professore, Lucio Marcotullio (1934-2021), cui affidò il timone della fabbrica-atelier. Per quarant’anni sarà il motore amministrativo e produttivo di Brioni. Un grande manager dalla profonda umanità e dal grande intuito. Diverrà anche “il sindaco” di Penne. Oltre che presidente degli industriali abruzzesi. Ma poi, per quei casi bizzarri della vita e della storia, da Penne si ritorna a Savile Row. Questa volta per surclassarla. Siamo alla metà degli anni ’90. A Londra, Albert R. Broccoli e sua figlia, storici produttori cinematografici, preparano il ritorno di James Bond. E per dare una svolta ancora più elegante, sartoriale, allo 007 più famoso al mondo, chiamano Brioni per il total look dell’agente segreto “al servizio di sua maestà”. Per la moda inglese è un colpo al cuore. Per quella italiana una consacrazione. Lo smoking, tagliato con la maestria e l’artigianalità sopraffina, è rigorosamente “Made in Abruzzo”, fatto a Penne, a due passi dal Gran Sasso. Pierce Brosnan fu il primo James Bond: a partire da GoldenEye (1995) fino a Die Another Day (2002), in ognuno dei suoi quattro film come 007 ha indossato abiti confezionati nella storica sartoria di Penne. Dopo di lui, anche Daniel Craig ha raccolto il testimone dell’eleganza abruzzese nel suo debutto come Bond in Casino Royale (2006). In totale, sono cinque i film della saga in cui Brioni ha curato lo stile dell’agente segreto: GoldenEye, Tomorrow Never Dies, The World Is Not Enough, Die Another Day e Casino Royale.
L’arte attira nuove eccellenze
Negli ultimi anni, quel sapere antico non è andato perduto. Anzi, ha attirato nuove eccellenze. È il caso di Brunello Cucinelli, che ha scelto proprio Penne per realizzare i suoi capispalla. Una decisione guidata dalla presenza di maestranze d’alta scuola, formate nella tradizione Brioni. Il nuovo stabilimento, integrato nella filiera etica e artigianale del marchio Cucinelli, ha rilanciato il settore abruzzese dell’abbigliamento di alta gamma, dando nuova occupazione a decine di professionisti del territorio. È la conferma che in un mondo globalizzato, la vera eccellenza resta legata alla qualità delle mani, al sapere tramandato, alla dignità del lavoro. Così, Penne torna a essere protagonista nel panorama della moda internazionale, questa volta nel segno di un “capitalismo umanistico” che custodisce bellezza e sapienza frutto del lavoro di donne e uomini.
Una scuola grande e silenziosa
Una sartoria, quella abruzzese, che nasce dalla terra. Dalla fatica. Dalla necessità di fare bene e far durare. Ma si è nutrita anche di contaminazione. Della musica di Tosti. Dell’ingegno di Caraceni. Della visione di Fonticoli. È uno stile che non ha bisogno di urlare. Si riconosce nei dettagli: la spalla naturale, il rever pieno, il punto invisibile. Caraceni e Fonticoli non erano soli. C’erano altri nomi: Ciro Giuliano, Sandro Porfirio, Tommaso Nobili, Adriano Pallini, Giovanni Donatelli. E poi c’erano i molisani. Perché Abruzzo e Molise erano una cosa sola. Capracotta ha dato decine e decine di sarti al mondo. Da lì viene Sebastiano Di Rienzo, che ha vestito attori e insegnato a Roma, all’Accademia. Da Bojano, Mario Iannetta. Da Venafro, Nelly Marika, l’unica donna. Tutti portatori di una cultura del cucito che ha superato le montagne.
Il sarto di Gissi che conquisto
la Casa Bianca e Hollywood
E poi c’è l’antesignano di tutti. Il nome che non ti aspetti: Achille Gaspari (1879-1956), nato a Gissi. Emigrato giovanissimo, passò per il Canada, poi l’Argentina, infine si stabilì a New York. Dopo la crisi del 1929 anche grazie al cinema, che proprio in quel periodo conosce una delle sue grandi stagioni, divenne uno dei sarti italiani più noti in America. La sua abilità nel taglio dei modelli gli aprì persino le porte della Casa Bianca. Vestiva abiti della sartoria Gaspari il mitico presidente Franklin Delano Roosevelt, l’uomo che fece risorgere gli Usa con una politica sociale passata alla storia come il “new deal”. Hollywood divenne per Achille Gaspari il luogo del sogno realizzato. Lui vestiva star come Clark Gable e Gary Cooper, ma anche attrici del calibro di Mirna Loy e Jean Harlow. C’è un film in particolare che rimane nella storia familiare di questo grande sarto. Il film girato negli stabilimenti della Major in Italia arrivò nel 1934 con il titolo Accadde una notte, per la regia di un gigante come Frank Capra. L’attore protagonista, Clark Gable, indossava un abito disegnato da Achille Gaspari, il nome della sartoria compare nei titoli di coda della pellicola. Achille di quel modello ne fece una copia, che inviò al figlio Remo, allora, studente universitario a Bologna. Che lo indossò, tra lo stupore e po’ d’invidia generale, alla prima del film nella capitale emiliana. Nel 1939 tornò a Gissi, portando un’esperienza internazionale unica. Lasciò un segno nella sartoria italiana e, indirettamente, anche nella politica: era il padre di quel Remo Gaspari, futuro potente ministro della Democrazia Cristiana, decisivo per le sorti della regione.
Epilogo
L’Abruzzo, con il Molise, ha cucito l’Italia. L’hanno chiamata “romana”, ma era abruzzese la scuola dei sarti. Loro, insieme ai maestri della scuola napoletana, hanno costruito l’epopea del Made in Italy maschile. I capispalla abruzzesi e quelli napoletani si sono sfidati per decenni a colpi di eleganza e morbidezza, la perfezione la morbidezza del capo e del giro spalla. Ma insieme hanno costruito un punto di riferimento mondiale. Che ha superato anche gli inglesi. C’è un filo che unisce una romanza suonata a corte a una giacca cucita sotto il Gran Sasso. Un revers perfetto creato per un mito come 007. È un filo resistente. Che ha attraversato oceani, è passato su spalle di re e attori, e non si è mai spezzato. La sartoria maschile italiana nasce qui, in Abruzzo. In silenzio. Ma con stile. Come gli abruzzesi.