«Contro la violenza il ricordo»

Marco Alessandrini e la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo

PESCARA. Suo padre, Emilio Alessandrini, è uno dei dieci magistrati vittima dei terroristi. Fu ucciso da un commando di Prima linea il 29 gennaio 1979 a Milano dove era magistrato. Nato a Penne ma pescarese d'adozione, aveva 36 anni. Lui, Marco Alessandrini, il figlio, è avvocato e consigliere comunale a Pescara del Pd, il partito di cui è anche responsabile regionale per la giustizia. Quando suo padre fu ucciso dai terroristi rossi aveva 8 anni.

Oggi Marco Alessandrini parteciperà, con altri parenti delle vittime del terrorismo, alla cerimonia che si svolgerà al Quirinale, con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sarà celebrata la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo, istituita quest'anno per la prima volta. Del significato di questa giornata Alessandrini parla in questa intervista al Centro.

Che cosa significa, per lei, la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo?
«E' l'approdo di un lungo viaggio, che si celebra sul più alto colle della Repubblica in ricordo delle vittime di quel periodo. E' un approdo per nulla scontato perché ci sono voluti trent'anni dall'omicidio di Aldo Moro affinché si cercasse di compiere, in qualche modo, un percorso di memoria condivisa nel Paese».

Perché tanto tempo?
«Innanzitutto, per un certo tipo di conformismo intellettuale e a causa di una sorta di cattiva coscienza. E anche perché una parte del giornalismo italiano proviene, in qualche modo, da quell'ambiente; e sappiamo tutti quanto il giornalismo conti nella formazione delle coscienze. Ma naturalmente non è solo questa la causa. Per molto tempo si è dato spazio soprattutto ai carnefici più che alle vittime di quel periodo. I carnefici sono assurti spesso a maître à penser, arrivando persino a tenere lezioni nelle università e a sedere in Parlamento, come nel caso di Sergio D'Elia».

Non teme la retorica che rischia sempre di soffocare commemorazioni di questo tipo?
«Se devo essere sincero, francamente no. Il presidente Napolitano è la massima autorità di garanzia della vita democratica nel Paese. Sono convinto che sia una garanzia anche contro il rischio della retorica. All'indomani della polemica scoppiata per quel manifesti che, a Milano, proclamavano "Via le Br dalle procure", il presidente della Repubblica ha preso carta e penna e ha scritto al vice presidente del Csm, Vietti, per dirgli che, quest'anno, la giornata della memoria andava dedicata ai famigliari dei magistrati vittime del terrorismo».

Qual è l'eredità più preziosa che quelle vittime hanno lasciato alla nostra comunità nazionale?
«Penso il valore dell'impegno professionale e civile, il valore della dedizione allo Stato e alle istituzioni che loro hanno difeso con il sacrificio della vita. Ma se proprio vogliamo dirla tutta, quello del magistrato-eroe è un argomento da trattare con cautela».

In che senso?
«Proprio per evitare quella retorica di cui si parlava prima. Penso al mondo della giustizia e alle contraposizioni fra il primo ministro e la magistratura, in particolare, la procura di Milano. Credo che qui sia in gioco l'uguagliana di tutti i cittadini di fronte alla legge, cioè un principio su cui non si può cedere. Personalmente non accetterò mai che ci sia un cittadino più uguale degli altri che non si sottopone ai processi. Per quello che attiene al funzionamento reale della giustizia, in questo momento, il campo è dominato da Berlusconi e dalla sua lotta per evitare i processi. Ma, a parte questo, credo che tutte le parti in gioco debbano fare autocritica perché, se il sistema non funziona, c'è un complesso di cause e tutti devono assumersi le loro quote di responsabilità e, certamente, anche la magistratura. Insomma, non tutti i magistrati sono eroi, così come non tutti i politici sono ladri».

Quali sono gli errori che il Paese non deve più commettere per evitare di tornare agli anni Settanta?
«Va fatto un percorso di memoria condivisa, senza distinzioni ideologiche. Nel 2009, per il quarantennale della Strage di piazza Fontana, a Milano hanno sfilato due cortei contrapposti. Ecco, per i 50 anni di piazza Fontana, mi auguro che ci sia un solo corteo. Non voglio fare la Cassandra, ma oggi non siamo nella situazione di 30-40 anni fa, con quella intossicazione ideologica, ma ci sono bisogni e tensioni sociali che rappresentano un terreno fertile sui cui possono attecchire solleticazioni rivoluzionarie. Per evitare che ciò accada, occorre che la politica torni a occuparsi dei bisogni delle persone, cosa che oggi non succede».

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