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Dazi Usa, intervista a Cottarelli: «Spazio alle trattative. L’Abruzzo? Ci sarà da sudare»

15 Luglio 2025

Tensioni internazionali, ecco la “ricetta” del direttore dell’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano: «Spero ci sia spazio per le trattative, altrimenti rispondere ai dazi con i dazi»

Una bella botta per l’economia italiana, ma non una catastrofe. Come reagire? Introducendo dazi sui prodotti statunitensi che entrano in Italia. Insomma, una sorta di “occhio per occhio, dente per dente”. L’economista Carlo Cottarelli, già direttore del dipartimento Affari fiscali del Fondo monetario internazionale, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica con il governo Letta e attuale direttore dell’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, è uno dei massimi esperti di politica monetaria internazionale. Sui dazi ha le idee chiare. Come evidenzia in questa intervista al Centro. «L’11% dei prodotti esportati dall’Italia ha come destinazione finale gli Stati Uniti», dice, «l’introduzione dei dazi al 30% darà uno scossone negativo a tanti settori della nostra industria, ma gli effetti saranno spalmati in modo differenziato sulle industrie e nelle diverse aree geografica». E prevederne l’impatto reale, al momento, è quasi impossibile: troppe le variabili in ballo per azzardare stime econometriche precise.

Professor Cottarelli, ci risiamo. Trump ha annunciato Dazi al 30% dal 1° agosto. L’Italia quanto rischia?

«Il conto è facile. L’11% delle esportazioni totali italiane vola verso gli Stati Uniti, una bella fetta. Con dati così elevati in percentuale, la ripercussione sarà scontata, ma non facciamo i catastrofisti».

Troppo allarmismo intorno alle notizie che arrivano dalla Casa Bianca?

«Va pesato tutto sul piatto della bilancia. Alcuni settori sono a rischio, è evidente. Al primo posto le macchine utensili, le più esportate in America, poi l’industria farmaceutica, l’automotive e agli apparecchi elettronici, per arrivare ai vini. Sono comparti importanti che, sommati, assorbono il 50% delle esportazioni italiane verso tutti i Paesi».

E allora, perché invita a non alzare l’asticella d’allarme?

«Andiamo... non sarà una catastrofe. I danni per l’economia sono insiti nell’operazione messa in atto da Trump, ma non saranno uguali per tutte le imprese. Anche le diverse regioni subiranno ripercussioni diverse, sulla base della vocazione imprenditoriale territoriale».

L’Abruzzo, da questo punto di vista, non sta messo bene. Condivide?

«Tra automotive, farmaceutico e prodotti vitivinicoli ci sarà da sudare».

Il Governo italiano, a questo punto, che strategie può mettere in atto?

«Ben poche. È una trattativa che si gioca a livello europeo. Abbiamo dei trattati che vanno rispettati. Non è che ognuno va per la sua strada».

Ma l’Europa che fa?

«Se non c’è un accordo non è colpa dell’Europa. Capisco prendersela con la Cina, ma non con l’Ue. Non possiamo sentirci in colpa».

In che senso, scusi?

«Gli Stati Uniti vivono al di sopra delle loro possibilità, il dollaro è sopravvalutato. Fare una vacanza negli States per gli europei è costosissimo».

Sì, ma i dazi che c’entrano?

«Per Trump i dazi sono la soluzione per frenare la concorrenza della Cina, ma se la prende con l’Europa, che non vuole fare quello che dice lui».

Mesi di annunci, ma ad oggi ancora niente…

«La trattativa tra Europa e Stati Uniti si è aperta il 2 aprile sorso, anche facendo la voce grossa. Trump ha detto che non bisognava tassare le multinazionali americane e ci siamo adeguati. Ha detto che voleva contare di più sulla scena economica internazionale e ci siamo adeguati».

Non è servito a molto, visto il risultato.

«Spero ci sia ancora spazio per la trattativa. Abbiamo una storia importante che ci lega all’America e che risale alla Seconda guerra mondiale. Non possiamo ignorarla, né vanificare tutti gli sforzi compiuti per costruire la pace e le democrazie».

Ma se i dazi entreranno in vigore?

«A quel punto, non possiamo fare altro che rispondere con la stessa moneta».

Altri dazi?

«Esatto. Se così non fosse, l’Italia correrebbe un doppio rischio».

Quale?

«Per non pagare i dazi, le nostre imprese che hanno un valore importante di esportazioni verso gli Stati Uniti andrebbero a produrre lì, spostando fabbriche e stabilimenti. È più conveniente. E, a quel punto, non produrrebbero solo per l’America ma anche per l’Europa».

Come frenare questa ipotetica emorragia industriale?

«Rispondendo con i dazi, subito. La strategia di lungo periodo, invece, è quella di diversificare almeno il 5% delle nostre esportazioni. Non esistono solo gli Stati Uniti, che pure sono una potenza commerciale, ce ne faremo una ragione».

Parliamo di numeri. Quanto costerà all’Italia tutto questo giochetto?

«Non si può quantificare. Quanto sento alcune ricerche e previsioni, come quella della Cgia di Mestre, che vengono rilanciate da tutti gli organi di informazione, mi chiedo: ma come si fa a fare stime precise? Nessuno è in grado, al momento».

Perché?

«Ci vuole un modello econometrico che possa stimare l’elasticità del mercato rispetto all'applicazione dei dazi e la risposta dello stesso, a breve e a lungo periodo».

Ci faccia delle stime.

«Azzardo: 6-7 miliardi in dodici mesi, che tenderanno a crescere nel tempo. Questo secondo l’economista Tommaso Monacelli. Ma ripeto, non sono conti che si possono fare alla lettera, soprattutto non ora. Siamo nel campo delle ipotesi, con una bilancia variabile a seconda di come verranno realmente applicai i dazi e dei comparti che risulteranno più colpiti. Non solo quelli italiani, ma rispetto anche al mercato delle esportazioni degli altri Paesi».

Insomma, un puzzle ancora da comporre?

«Con tasselli che si aggiungeranno man mano. Dobbiamo valutare quanto peso reale avranno sulle esportazioni italiane, come reagirà il mercato statunitense, la capacità di reazione delle nostre aziende».

E i riflessi sulle famiglie?

«Mi scusi eh... ma questa è una domanda scontata!».

E allora mi risponda...

«Semplice: aumenteranno i prezzi e diminuirà l’occupazione in tutte quelle aziende che hanno rapporti diretti con gli Stati Uniti. Ma anche qui, nulla di scontato o di banale. Bisogna vedere la reazione dei mercati finanziari».

Per l’Italia c’è un mercato alternativo agli Stati Uniti?

«Il mondo è grande, possiamo aprirci a tanti nuovi mercati per l’export. E poi c’è la Cina, la diretta concorrente di Trump».

Ma l’America non rischia niente?

«Negli ultimi anni l’economia americana è andata bene, in termini di cicli economici: è normale che, dopo un periodo di grande espansione, ci sia un rallentamento, ma una guerra dei dazi danneggerà più l’Europa che gli Stati Uniti perché le esportazioni americane in Europa non sono poi così rilevanti. Ci perdiamo più noi. D’altra parte diventa inevitabile che se gli Stati Uniti mettono dei dazi, noi dobbiamo controbattere. Se c’è una cosa che accomuna l'Europa è la politica dei dazi: non possiamo avere atteggiamenti diversi rispetto a questo».

Di chi è la colpa se siamo arrivati a questo?

«Se noi siamo più bravi a produrre cose che gli americano vogliono comprare non sarà mica colpa nostra. Sarà, forse, che gli americani vogliono comprare troppo e consumano troppo rispetto alle loro risorse? Io credo che bisogna riflettere su questo».

Gli americani vogliono far pare all’Europa il deficit economico?

«Il loro deficit è enorme e quando il deficit pubblico è troppo grande, il settore privato spende troppo. Gli americani stanno vivendo al di sopra delle loro capacità. Ed è colpa nostra? Certamente no».

Quindi c’è uno squilibrio?

«Evidente, ma è colpa degli americani, dell’Europa. Che effetto avrà? Come qualunque guerra causa danni a noi e a loro: forse più a noi, perché le esportazioni per noi, rispetto al Pil, sono più importanti di quanto non lo siano per gli americani».