Discarica, lo Stato chiede i danni

Ministero, Regione e presidenza del Consiglio si costituiscono parte civile.

PESCARA. Lo Stato chiederà i danni per l’avvelenamento delle acque e della terra a Bussi sul Tirino, dove la discarica di rifiuti tossici più grande d’Europa, con le sue 500 mila tonnellate, ha cominciato a crescere fin dai primi anni Sessanta. In una udienza-lampo davanti al gup del tribunale di Pescara Luca De Ninis, l’avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana ha formalizzato la costituzione di parte civile da parte del ministero per l’Ambiente, della Regione Abruzzo e della presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento di Protezione civile (per il commissario delegato per il bacino Aterno-Pescara).

Lo ha fatto nel secondo giorno di sciopero degli avvocati contro la riforma della giustizia, dichiarando di non aderire (a differenza di tutti gli altri colleghi presenti) all’astensione delle udienze e depositando due atti: uno per la Regione Abruzzo, l’altro per Ministero e presidenza del Consiglio. Subito dopo le formalità, presente per la procura il pm Mirvana Di Serio in sostituzione della collega Anna Rita Mantini, la seduta si è conclusa con il rinvio dell’udienza preliminare a giovedì 25 febbraio. La data è stata indicata come il termine ultimo per la costituzione di parte civile da parte delle associazioni e degli enti che non hanno ancora presentato la loro istanza: un accordo tra le parti (per legge, la costituzione può avvenire fino all’apertura del dibattimento) sollecitato dal giudice per evitare di allungare in modo abnorme i tempi.

All’appello, tra le parti offese, mancano ormai solo alcune associazioni (tra cui Wwf e Legambiente) e alcuni enti (come il parco Gran Sasso-Monti della Laga).
Nella stessa udienza di febbraio saranno discusse le eccezioni dei difensori relative alle costituzioni di parte civile presentate il 9 luglio e il 29 ottobre. Fissate anche le date successive: l’11 marzo e poi ancora il 15 aprile.

Nel maxi-processo contro i 27 imputati - accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro colposo, commercio di sostanze contraffatte e adulterate, delitti colposi contro la salute pubblica, turbativa d’asta e truffa - entra dunque con tutto il suo peso lo Stato, come nei giorni scorsi avevano chiesto a gran voce le associazioni ambientaliste. «In base al nuovo testo unico ambientale del 2006, il Ministero è l’unico titolare dell’azione risarcitoria» ha sottolineato Pisana, «ma la presenza delle associazioni è importante perché consente di far vedere a tutti che lo Stato è solo. Oggi noi ci stiamo costituendo parte civile verso gli imputati, ma la battaglia vera è quella contro le società che hanno determinato un inquinamento così grave, e stiamo valutando se portarla nella sede del tribunale civile, che gli è più propria».

Per le associazioni (Italia Nostra, Marevivo, Ecoistituto Abruzzo e Miladonnambiente), che martedì scorso avevano tuonato contro il ritardo a entrare nel processo da parte degli organi dello Stato, si tratta di «un evento importantissimo».
«È il ministero per l’Ambiente ad avere la titolarità del danno ambientale» ha spiegato Giovanni Damiani, presidente di Ecoistituto Abruzzo, «cioé l’applicazione del principio che chi inquina paga, che coloro che saranno ritenuti responsabili saranno chiamati a rispondere dei costi della bonifica e dei costi dell’illecito profitto del trasgressore, soldi che saranno incamerati dallo Stato per le bonifiche».

Ma sulla vicenda di Bussi pende la scure della riforma del processo breve: se dovesse essere approvata, il procedimento, che conta centinaia di migliaia di documenti, andrebbe verso morte certa: «Anche perché», ha osservato il vice sindaco di Bussi Giulio Di Berardino, avvocato, «i probabili incidenti probatori sulle perizie già depositate non farebbero che allungare i tempi». Cadrebbero così per estinzione dei reati le accuse, gravissime, nei confronti dei 27 indagati eccellenti: ex dirigenti di Montedison e Ausimont ed ex amministratori di Aca e Ato, responsabili a vario titolo di quello che il pm Mantini, nella sua richiesta di rinvio a giudizio, ha definito «un disastro ambientale di proporzioni immani». Per l’accusa, gli imputati sapevano. Ma avrebbero omesso e nascosto, fino alla scoperta della mega-discarica, nel 2007.