Gli 80 anni di Pannella un «mulo abruzzese» col cuore in Europa

Nato a Teramo è il fondatore del Partito radicale Divorzio e aborto le sue due grandi battaglie

PESCARA. Via Giacinto Pannella a Teramo si allunga perpendicolarmente tra via De Gasperi e via Francesco Crispi. Il Pannella celebrato è prozio di «Giacinto detto Marco», il leader radicale che il 2 maggio festeggia gli 80 anni e la milionesima sigaretta.
Il primo Giacinto era un sacerdote letterato, studioso di storia locale, direttore della “Rivista abruzzese di Scienza, lettere e arti”. Un prete aperto, curioso, di animo liberale, che può ben figurare nella genealogia del leader radicale, un laico anticoncordatario ma attento al sentimento religioso. Madre francese e padre teramano, Pannella è rimasto fino agli 11 anni in Abruzzo per trasferirsi con la famiglia a Roma dove si è avvicinato, senza più lasciarla, alla politica.

Ma è in Abruzzo che ha cominciato a maturare giovanissimo un pensiero civile. Per esempio, un’estate a Pescara Pannella scopre il razzismo. Lo racconta a Marco Suttora nel libro “I segreti di un istrione”: «Avevo una compagna di giochi, si chiamava Adria. Era il mio primo grande amore, avevo preso una cotta gigantesca per lei. Ci vedevamo tutti i pomeriggi a giocare. Ma un giorno, d’improvviso, non si vide più. Scomparsa. Era figlia di ebrei, e la sua famiglia era scappata a Tangeri. Allora ho capito cosa vuol dire perseguitare le minoranze». E’ decisamente l’infanzia di un capo.

Pannella oggi è con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il più anziano leader politico italiano. E il Partito Radicale è l’unico partito sopravvissuto alla prima e alla seconda repubblica. Questo dice molto sulla «partitocrazia» e sul «regime», termini che Pannella continua a usare con convinzione, perché per lui nulla è mutato in Italia, negli anni e nei decenni, prima e dopo Mani Pulite, prima e dopo Berlusconi e il berlusconismo. Per Pannella fascismo, clericalismo e comunismo continuano a formare le classi dirigenti in un paese che vive una perenne Controriforma senza essere mai passato per una vera Riforma.

A questo regime e al suo teatro delle ombre, Pannella contrappone quattro nomi che ricorrono costantemente nelle sue conversazioni: Benedetto Croce, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini e Altiero Spinelli: il pensiero liberale, il pensiero laico e libertario, il sogno degli Stati Uniti d’Europa.
In Abruzzo, nei lunghi anni di un’erratica militanza radicale, è stato consigliere regionale e consigliere comunale a Teramo e all’Aquila, ma per lui l’Abruzzo, oltre a un deposito di ricordi privati, è una connotazione del carattere. Si è definito via via «bestia abruzzese» o «mulo abruzzese». Maurizio Caprara lo ha chiamato «animale irripetibile e anomalo» della politica italiana. Irripetibile nel pensiero, anomalo nelle iniziative.

Dopo aver fondato il Partito radicale nel 1955, mette in atto il primo digiuno contro la guerra d’Algeria nel 1961, sugli Champs-Elysées insieme a un anarchico francese. Digiuna la prima volta in Italia nel 1968 contro i carri armati sovietici a Praga.
Sono iniziative che i colleghi politici non amano (Massimo D’Alema lo definì «un guitto, un caso doloroso»). I giornalisti spesso lo ignorano. Con qualche eccezione. Nel 1993 comparve sulla prima pagina del Corriere della Sera un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia che fece infuriare Giorgio Bocca, nel quale Pannella viene descritto «incorrotto e incorruttibile, capace di disegni politici vasti e ispirati, oratore popolare di razza, l’unica cosa nuova che abbia visto la luce a sinistra negli ultimi decenni».

E infatti è impossibile immaginare l’Italia del dopoguerra senza Pannella e i radicali. Senza le battaglie (vinte) per il divorzio e l’aborto. Senza i digiuni, i bavagli, i corpi nudi esibiti in teatro, i referendum, le pornostar a Montecitorio, l’antiproibizionismo, senza le tragedie, come l’assassinio del giornalista abruzzese di Radio radicale Antonio Russo, ucciso a Tbilisi il 16 ottobre 2000.
Se tutto questo non finisce in tv Pannella si arrabbia. Non per vanità. La televisione fa parte della sua prassi politica perché, dice Pannella, «la tv è il vero artefice della storia degli italiani».
Fuma tre pacchetti di sigarette al giorno ma in vita sua ha fumato solo tre spinelli. Il 3 luglio del 1975 aspirò una canna davanti al capo della sezione narcotici Ennio Di Francesco, un calabrese di Sant’Eufemia d’Aspromonte che da anni vive a Pescara. Di Francesco arrestò Pannella ma poi ne difese la lotta antiproibizionista (a Pescara Marco aveva in Luigi Del Gatto un robusto compagno di lotte) e per questo subì un trasferimento.

A 80 anni Pannella è più attivo che mai. Oggi è a Bruxelles, domani in capo al mondo, il giorno dopo nella sede romana del Partito radicale in via di Torre Argentina. Negli anni ha allevato una fortunata nidiata di politici. Di lui si dice che è come Crono che divora i suoi figli. Pannella risponde che il Partito radicale non è una caserma e che chi nel partito non è più felice può andarsene. Ha divorato Francesco Rutelli. Oggi è un leader di partito. Ha divorato Daniele Capezzone, oggi è il loquace portavoce del Pdl. Ha divorato Benedetto Della Vedova. Oggi è un ascoltato deputato del Pdl. Ha divorato Giovanni Negri che produce dell’ottimo vino sulle colline piemontesi. Ex radicali sono il ministro Elio Vito, in Abruzzo il consigliere regionale Ricardo Chiavaroli.
Pannella è fatto così: fuma, s’incazza, divora i suoi figli, ma forma classe dirigente. Laicamente, felicemente, pannellianamente.

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