LA SINDROME DI YOGHI E QUEGLI ORSI VERI

di GIULIANO DI TANNA Bernardo, Gemma, Peppina: gli orsi in Abruzzo hanno nomi familiari, autoctoni, nomi che sembrano venire fuori da un film in bianco e nero, di un’Italia povera ma bella ormai...

di GIULIANO DI TANNA

Bernardo, Gemma, Peppina: gli orsi in Abruzzo hanno nomi familiari, autoctoni, nomi che sembrano venire fuori da un film in bianco e nero, di un’Italia povera ma bella ormai scomparsa. Fa eccezione a questa regola del nome umano solo un orso, quello ucciso a fucilate, la settimana scorsa, a Pettorano sul Gizio. Non lo aveva da vivo, non ce l’ha da morto. E’ come se paradossalmente l’assenza del nome togliesse drammaticità narrativa a una storia che, invece, sta appassionando non solo l’Abruzzo.

Come tutte le storie italiane, anche quella degli orsi presi di mira o uccisi spacca l’opinione pubblica in due fazioni: quella di chi sta dalla parte degli orsi, e quella di chi pensa che gli uomini abbiano il diritto di difendersi dagli animali selvatici. Il punto è proprio in quel selvatico. Non tutti sembrano essere d’accordo sulla natura non addomesticata degli orsi. Chi è cresciuto facendo la prima (quando non unica) conoscenza degli animali non domestici attraverso i cartoni animati porta in sè una sorta di imprinting che dà forma al suo rapporto con gli orsi. Insomma, un orso è un orso, come la rosa di Gertrude Stein. Ma è anche altro. E’ Yoghi, è Bubu: è il regno animale antropomorfizzato dei cartoni animati di Hanna Barbera, un mondo in cui i buoni sono loro, gli orsi di Jellystone che, al massimo, cercano di rubare il cesto del picnic sotto il naso del ranger. Chi oserebbe sparare a Yoghi? Nessuno.

Ma la realtà esiste, con la sua scorza dura, anche al di fuori dei tre minuti di un cartoon. E la realtà, la natura, gli animali (quelli veri) non hanno la voce pacioccona di Francesco Mulè, l’attore grosso come un orso che faceva parlare Yoghi nella Tv dei Ragazzi della nostra infanzia. Per addomesticare la selvatichezza naturale degli animali, non basta dare loro nomi familiari come quelli di una zia, di un nonno, di una mamma. Il rapporto naturale che possiamo intrattenere con i nostri amici a quattro zampe è quello di un rispetto basato sulla verità della loro indole. E di questa verità fa parte anche la paura, che non deve trasformarsi in ossessione, certo, ma nemmeno può essere criminalizzata. Trovarsi animali selvatici che passeggiano per il paese in cui si vive non è piacevole. Ma la soluzione non può essere quella di farsi giustizia da soli, magari a sangue freddo. Tuttavia, non è neppure una soluzione pensare che uomini e animali selvatici possano convivere nello stesso ambiente con il fair-play di Wile E. Coyote e del cagnone Ralph, che si danno la caccia fino a quando la sirena annuncia la fine di un’altra giornata di lavoro. Non illudiamoci che a concludere questo duello fra noi e loro possa essere la sigla finale dei cartoni della Warner Bros. No, in vista, non c’è alcun “That’s all folks!” (E’ tutto signori!), che possa mettere fine al match.