Legnini: pochi soldi per l'Abruzzo

Il senatore del Pd sul Patto: negati i fondi per realizzare le infrastrutture strategiche

PESCARA. «Se il risultato raccolto dal Patto per lo sviluppo nell'incontro con il governo su Fas e intesa-infrastrutture è straordinario come dice il governatore Chiodi, allora vuol dire che è straordinario anche l'avvio del campionato dell'Inter. E lo dico da interista». Il senatore del Pd Giovanni Legnini usa una metafora calcistica per definire il vertice di Roma.

Venerdì è prevista la delibera Cipe sui fondi incassati dall'Abruzzo: 612 milioni di Fas (annualità 2007-2013) e 206 per le infrastrutture. Legnini fa una premessa per effettuare una valutazione dell'incontro. «Non si può prescindere dalle motivazioni che hanno indotto gli attori politici e sociali a mettersi insieme nel Patto», dice riferendosi al grido di dolore che si levò di fronte agli effetti combinati da recessione economica, post-terremoto e crisi finanziaria. «A situazione straordinaria», ne deduce, «occorreva una risposta conseguente e i risultati dell'incontro mi sembrano invece improntati all'ordinarietà: ci hanno dato solo ciò che ci spetta e sulle infrastrutture molto meno di ciò che è stato riconosciuto ad altre Regioni».

Il governatore Chiodi ha detto che, considerata l'attuale situazione di crisi economica e politica del Paese, non tutto era scontato. Lo stesso Matteoli ieri all'Aquila ha fatto sapere di essere soddisfatto dell'incontro perché si è trattato di un vertice dove si è parlato in maniera chiara di quelle che sono le possibilità, senza false illusioni. Secondo lei si poteva ottenere di più?
«Sulle infrastrutture è da anni che denunciamo la sottrazione di risorse già stanziate dal governo Prodi in favore dell'Abruzzo che ammontavano ad oltre 500 milioni. Parlo di risorse iscritte nel bilancio dello Stato, e stornate dal governo Berlusconi per altre finalità. A fronte del noto protocollo di 6 miliardi tanto sbandierato negli ultimi due anni, il finanziamento dovrebbe ammontare a 200 milioni, appena il 3 per cento del promesso. Si poteva ottenere di più? Sì, perché pur in un contesto di seria restrizione finanziaria comunque alla nostra regione si doveva e si dovrà riconoscere la dignità di candidarsi a realizzare infrastrutture strategiche che invece sono state riservate tutte ad altri territori. Lo denunciamo, inascoltati, da tre anni».

Crede che sia necessario rimodulare la progettualità dei Fas e assegnare una sorta di "priorità alle priorità"? Quali?
«L'ostinazione di Chiodi non ha consentito di indirizzare queste poche risorse verso obiettivi di accrescimento dell'attrattività e competitività del nostro sistema produttivo, turistico e territoriale. La polemica secondo la quale noi volevamo indirizzare le risorse su una sola infrastruttura è frutto di pura fantasia: le nostre proposte sono scritte da tempo. E riguardano la qualità e la direzione dello sviluppo futuro della regione: automotive e Made in Italy, i settori che hanno fatto la storia industriale della regione, l'edilizia sostenibile, la Costa teatina e le altre aree protette, la complessa e incompleta intelaiatura infrastrutturale di molti territori a partire dall'area Chieti-Pescara ed altre finalità».

È d'accordo sul fatto che il Patto per lo sviluppo indichi un modello di strategia politica da applicare in altre sedi?
«Il Patto costituisce un'edizione più aggiornata dello sperimentato strumento della concertazione. In questo senso dovrebbe essere un metodo immanente e permanente e dovrebbe essere finalizzato a definire il perimetro, i contenuti e il cammino di una nuova fase di sviluppo dell'Abruzzo. Connotarla con toni trionfalistici e con i caratteri della straordinarietà mi sembra fuori luogo. Sia chiaro: l'unità d'azione delle forze sociali e delle istituzioni è determinante, ma se serve per "coprire" scelte politiche fatte altrove, allora non siamo d'accordo».

E il Patto può indurre il Pd, inteso come forza d'opposizione, a cambiare i suoi rapporti anche con Chiodi e la sua giunta?
«L'atto di responsabilità del Pd che io ho condiviso e condivido è nei confronti dell'Abruzzo e degli abruzzesi. La partecipazione del Pd ha garantito al Patto la piena rappresentatività e forza anche a Roma. Ma il Pd non ha alcuna intenzione di sciogliersi nel Patto, ma lavora per costruire una prospettiva di governo per cambiare ed imprimere un nuovo ritmo alla nostra regione».

Passiamo ai parlamentari abruzzesi: sono coesi anche loro intorno al Patto? E dove e in che modo hanno inciso?
«Il presidente della Regione ha scelto di non confrontarsi con i parlamentari, e questo a mio modo di vedere è un grave errore. Quando abbiamo sperimentato un lavoro comune in Parlamento, purtroppo poche volte e non per nostra volontà, i risultati sono arrivati. Ciò è accaduto per diversi provvedimenti per L'Aquila e il cratere, a partire dalla Zona franca urbana, che è stata riconosciuta in virtù di una nostra doppia iniziativa, per il disinquinamento e la reindustrializzazione di Bussi, per la Costa teatina. Sono convinto che la persistente straordinarietà della situazione richiederebbe uno sforzo aggiuntivo, anche se la crisi del bilancio pubblico e l'irreversibile crisi politica del berlusconismo costituiscano ostacoli a lavorare in tale direzione. Mi auguro che si possa superarle al più presto».

Il Pd si propone come forze governativa alternativa all'attuale maggioranza, lei che segue la crisi dal Senato e ha quindi una veduta complessiva della situazione, che tipo di riforma burocratica-amministrativa auspica? Il partito ha un'idea da dove cominciare?
«Il nostro partito ha idee chiare e le ha tutte tradotte in precise proposte emendative sia alla manovra di luglio che a quella di agosto. Abbiamo lavorato intensamente e con grande senso di responsabilità vedendo accogliere solo poche nostre proposte. Dovendo sintetizzare ne indico tre: misure incisive per il lavoro in particolare dei giovani, un serio e credibile pacchetto per la crescita con liberalizzazioni e apertura dei molti mercati chiusi, riduzione strutturale selettiva del peso dello Stato nelle sue varie articolazioni, a partire dai costi della politica. In poche parole, rigore finanziario, equità e crescita: i fondamentali delle politiche di Ciampi, Prodi, Padoa-Schioppa, che dovranno costituire le basi delle politiche per cambiare il nostro Paese e restituirgli una speranza».

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