L’inchiesta sul forum sessista, tremano in molti: i server tra Abruzzo ed Emilia

30 Agosto 2025

Il sito è stato chiuso e i contenuti eliminati, ma gli investigatori possono risalire agli utenti tramite gli indirizzi ip. La pista seguita dalla polizia postale: caccia a chi nei commenti incitava all’odio o alla violenza

PESCARA. L’Abruzzo come “casa” di Phica.eu, il forum sessista chiuso due giorni fa dopo vent’anni di attività ininterrotta. È questa la pista su cui indaga la polizia postale che getta una pesantissima ombra sulla nostra regione. Perché è da qui che, insieme all’Emilia Romagna, potrebbero essere stati mossi i fili virtuali della piattaforma della vergogna da centinaia di migliaia di utenti, tra cui molti abruzzesi. Un labirinto virtuale degli orrori, che nelle sue stanze ha ospitato foto di persone pubbliche – attrici, showgirl, politiche – ma anche di ragazze della porta accanto. Scatti trafugati dai social o rubati in attimi della vita di tutti i giorni che sono stati poi inondati di commenti misogini, violenti e offensivi. Con a volte casi di revenge porn o di foto deep fake che al viso di una persona aggiungevano un altro corpo, spesso nudo. Anni di denunce non sono state sufficienti a cambiare le cose: è servita la bufera di indignazione social, seguita a quella appena precedente per il gruppo Facebook “Mia moglie”, per porre un argine a questo fenomeno dalle dimensioni immense, come dimostrano i suoi 20 milioni di contatti mensili. Insomma, il vaso di pandora della pornografia non consensuale online è stato aperto. E presto potrebbero uscire anche i nomi dei responsabili.

CACCIA AGLI UTENTI

È caccia aperta, infatti, a chi, almeno negli ultimi anni, ha postato commenti offensivi non solo sessisti ma che istigano a commettere reati, compresa la violenza sessuale. Il sito è stato chiuso e i contenuti cancellati, ma gli utenti hanno lasciato segni indelebili del loro passaggio. Come gli indirizzi ip, gli identificativi dei computer che sono indispensabili per rintracciare chi si nascondeva dietro i nickname fasulli. E sarà proprio Phica – che, come rivelato da Repubblica, fa capo a un’azienda con sede locale a Sofia e con titolare R.M., un italiano – a fornire questi riferimenti. I primi riscontri sono attesi a breve, vista la pressione delle centinaia di denunce che continuano arrivare da tutta Italia. A partire da quella dell’ex senatrice del Pd Stefania Pezzopane, anche lei finita suo malgrado sul sito. Ma il movimento di protesta si sta facendo sempre più ampio. E trasversale. Le donne dem hanno lanciato l’appello per una denuncia collettiva, aperta a tutti gli schieramenti. D’altra parte, la lista delle vittime non guarda al colore politico. Si va dalla segretaria nazionale Pd Elly Schlein alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, passando per la ministra del Turismo Daniela Santanchè, la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi, la segretaria di Noi Moderati Mara Carfagna, l’europarlamentare dem Alessandra Moretti e la ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Ma queste sono soltanto alcune tra le tantissime donne a cui sono stati rubate foto oppure frame delle loro apparizioni in tv, modificate o zoomate ad arte per poi poter essere date in pasto al branco, sicuro di poter dare il peggio di sé dietro il velo dell’anonimato. Scoppiato lo scandalo, molti utenti hanno chiesto la rimozione, anche dietro pagamento, dei loro contenuti. Ma, ormai, è troppo tardi.

LE POSSIBILI ACCUSE

Perché tutto rimane su internet e nulla se ne va. Compresi i riferimenti di chi ha commentato e che ora rischia diverse accuse. Si va dalla diffamazione aggravata all’istigazione a commettere reati, passando per il vilipendio di cariche dello Stato e del governo, nel caso degli insulti rivolti a parlamentari e cariche istituzionali. Per molte di queste fattispecie di reato, però, sono essenziali le denunce. È il caso della diffamazione, punibile con una pena da sei mesi a tre anni di reclusione o una multa, per cui non c’è procedibilità d’ufficio da parte delle forze dell’ordine della magistratura. Dunque è fondamentale la consapevolezza, da parte della vittima, di essere finita sul sito e la volontà di denunciare. Discorso diverso, invece, per l’ipotesi di istigazione a delinquere, riconducibile a chi induce altri con i suoi messaggi a commettere reati, come la violenza sessuale, ma anche minacce e violenza privata. Qui la pena si fa più consistente: reclusione da uno a cinque anni e sanzione da 206 euro, ma potenzialmente superiore in caso di utilizzo di strumenti telematici o informatici. Infine, il vilipendio di organi dello Stato, governo compreso comporta una multa che può arrivare a 5mila euro, ma anche la reclusione fino a tre anni e una sanzione nel caso si tratti di oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario. Per tantissime delle vittime, però, rimane fondamentale presentare denuncia, allegando gli screenshot delle foto e dei relativi commenti. Proprio a questo fine l’avvocato Annamaria Bernardini De Pace ha annunciato una class action insieme ad Arianna Pigini, presidente dell’associazione L’Abbraccio del Mediterraneo Ets. Allo stesso tempo, per bocca della ministra Eugenia Roccella il governo ha promesso presto nuove misure per contrastare «questa barbarie del terzo millennio», con la premier Meloni che ha auspicato che i responsabili «siano puniti senza sconti». Il rischio, però, è che nella galassia di internet quest’enorme branco virtuale si muova di sito in sito, alla ricerca di una nuova tana dove tornare ad aggredire le sue vittime, donne trattate come pezzi di carne.