Abruzzo

Maxi affari con la ‘ndrangheta: il pescarese Ballone condannato a 18 anni

2 Ottobre 2025

L’ex storico capo della banda Battestini riconosciuto come l’uomo di fiducia delle cosche a Pescara. «Era lui il terminale logistico e finanziario di un fiume di cocaina che arrivava dal Sudamerica». Inflitti 14 anni all’altro abruzzese coinvolto nell’indagine, l’avezzanese Carmine Amedeo Cappelletti

PESCARA. C’è il bandito romantico che scrive romanzi dal carcere e c’è il ragioniere della cocaina che conta i «piccioli» per la ’Ndrangheta. Per anni, il pescarese Massimo Ballone ha tenuto insieme queste due anime, quella del criminale d’altri tempi che affida alla penna la sua epopea e quella del manager al servizio di una delle organizzazioni più potenti al mondo. Ora una sentenza ha messo la parola fine a questa doppia vita, scrivendo un epilogo non letterario ma giudiziario. Il giudice di Reggio Calabria, Antonino Foti, gli ha inflitto 18 anni di reclusione.

La condanna, arrivata ieri sera con il rito abbreviato nell’aula bunker calabrese, è l’ultimo tassello del maxi processo nato dall’operazione antimafia Eureka, che ha visto un totale di 76 condanne (comprese tra due e vent’anni) e sei assoluzioni. Per Ballone, 64 anni, dallo scorso maggio uscito dal carcere e attualmente ai domiciliari (i giudici hanno accolto l’istanza dell’avvocato Carlo Di Mascio), è la chiusura del cerchio. L’inchiesta, scattata nel 2022, lo aveva identificato come l’uomo di fiducia delle cosche a Pescara, il terminale logistico e finanziario di un fiume di droga che dal Sudamerica inondava l’Europa. Il suo ruolo, secondo l’accusa, era quello del ragioniere: un ruolo meticoloso, lontano dai riflettori, ma fondamentale. Custodiva e stoccava ingenti partite di stupefacente, teneva la contabilità dei profitti e pagava i corrieri. Le chat criptate, che credeva sicure, hanno svelato la sua quotidianità criminale. «Buongiorno amico mio, i piccioli li ho io», scriveva al suo capo, Giuseppe Mammoliti. E poi, con pignoleria: «Ho contato piccioli, sono esattamente 11.178. Mancano 220 euro. Sono impazzito a contare pezzi da 10 e anche da 5».

La sua figura emergeva come un ingranaggio cruciale in una macchina criminale immensa. L’operazione Eureka, frutto della cooperazione tra procure e polizie internazionali, ha smantellato un’organizzazione legata alle cosche Nirta-Strangio e Morabito, capace di gestire traffico di droga e riciclaggio su scala globale.

La sentenza ha travolto anche la sua capillare rete logistica, fatta di uomini come Carmine Amedeo Cappelletti, avezzanese classe 1953, noto commerciante ed ex dirigente accompagnatore dell’Avezzano calcio. Condannato ieri a 14 anni, era uno dei corrieri più instancabili, capace di percorrere oltre 1.400 chilometri al giorno per consegnare i pacchi di cocaina in tutta Italia, da Roma a Firenze, da Napoli ad Andria. «Lavoro una cifra», esultava in un messaggio. Ogni consegna era seguita da un ordine preciso: ritirare il denaro e portarlo a Pescara, da Ballone, il cassiere. Eppure, dietro il manager della droga si nascondeva un passato diverso, più leggendario. Quello del capo della banda Battestini, che negli anni Ottanta aveva seminato il panico con rapine e assalti ai portavalori. Un curriculum criminale che include tre evasioni dal carcere, a testimonianza di una caratura non comune. Un passato violento che sembrava appartenere a un’altra epoca rispetto al suo più recente e silenzioso ruolo di contabile. Questo scarto tra il prima e il dopo è forse la chiave per comprendere la complessità del personaggio.

È durante gli anni di detenzione che nasce la sua seconda identità, quella del bandito scrittore. In carcere si laurea in Lettere e scrive un romanzo autobiografico, “Al di sotto del cuore”, in cui ripercorre la sua vita criminale. Un tentativo, forse, di dare una forma letteraria a una biografia fatta di violenza. Questo profilo intellettuale contrasta in modo stridente con il suo ostinato silenzio davanti ai magistrati: in ogni interrogatorio, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. L’uomo che aveva affidato a un libro la sua storia si rifiutava di raccontarla a chi doveva giudicarlo.

A tradirlo, alla fine, è stata la tecnologia che credeva alleata. L’uso sistematico di criptofonini e della piattaforma SkyEcc, considerati il santuario impenetrabile della ’Ndrangheta, si è rivelato un tallone d’Achille. Le sue stesse parole, i suoi meticolosi resoconti contabili, sono diventati la prova regina. L’uomo che aveva affidato la sua versione dei fatti a un romanzo è stato incastrato dai suoi stessi appunti digitali. E nel silenzio che ha sempre mantenuto in aula, a parlare per lui sono stati i messaggi che credeva segreti.