Nell’Italia dei conformisti

Pierluigi Battista: racconto un Paese senza più intellettuali irregolari.

Che fine hanno fatto gli intellettuali irregolari nella cultura italiana? E’ una delle domande che si pone Pierluigi Battista nel suo nuovo libro «I conformisti-L’estinzione degli intellettuali d’Italia» (Rizzoli, 223 pagine, 18 euro). Romano, 54 anni, giornalista (è vice direttore del Corriere della Sera), Battista è proprio uno di quegli intellettuali non allineati, liberali e anti-totalitari che in Italia latitano, oggi come ieri. Il suo saggio è un leggibilissimo e pessimistico rapporto sullo stato delle cose nel Belpaese. Come spiega lui stesso in questa intervista al Centro.

Chi sono i conformisti?
«Sono quegli intellettuali che, secondo me, hanno sempre preferito l’appartenenza a uno schieramento o a una scelta ideologica rispetto al lavoro di ricostruzione dei fatti, della realtà. Ne abbiamo avuto e ne abbiamo molti esempi in Italia e all’estero. Nel libro scrivo della polemica che divise due intellettuali come Camus e Sartre. Camus, che si dichiarò sempre uomo di sinistra, scelse di non passare sotto silenzio l’esistenza dei gulag e raccontò in un libro come “L’uomo in rivolta” perché l’Unione sovietica si era trasformata in uno spietato regime totalitario. Sartre, invece, tacque, terrorrizato dal fatto che parlarne potesse dividere lo schieramento di sinistra nel mondo».

Come finì quella disputa?
«Il mondo intellettuale francese si schierò quasi interamente con il conformismo di Sartre. E Camus, l’intellettuale irregolare, ne soffrì. Fu isolato. Ecco, gli intellettuali conformisti non sopportano la solitudine della ricerca, mentre gli altri, quelli che io chiamo gli irregolari, sono capaci di pagare un prezzo e di sopportare anche l’accusa di tradimento perché preferiscono tradire la loro appartenenza per non tradire loro stessi».

Nel libro lei sostiene che in Italia il conformismo intellettuale soprattutto a sinistra è molto forte: perché?
«Perché in Italia c’è una fortissima tradizione pre-fascista, fascista e poi post-fascista che vede la vita intellettuale come un proseguimento di quella politica e viceversa: la tradizione dell’intellettuale organico, insomma. Questo vizio intellettuale si ripropone in contesti molto diversi, sia nell’epoca delle ideologie dominanti che in quella post Muro di Berlino in cui la situazione cambia poiché non esiste più, per così dire, la messa a morte di chi non è allineato, la sua emarginazione, il suo isolamento».

Come sopravvive oggi questo vizio?
«Nel contesto italiano quel vizio si è riproposto sotto forma di una sorta di bipolarismo antropologico. Cioé dell’idea che esistano due Italie nemiche e contrapposte, in guerra permanente fra di loro. Questo atteggiamento è molto più spiccato nella cultura di sinistra; l’idea cioè della superiorità morale, di rappresentare l’Italia dei migliori rispetto all’Italia alle vongole, quella grossolana e volgare a cui viene consegnata l’intera destra e non solo Berlusconi. Il problema sta nel fatto che così si finisce per sacrificare l’intera vita intellettuale al compito di abbattere il tiranno; e, così facendo, si smette di pensare perché ossessionati da Berlusconi. E’ ormai impossibile discutere di qualcosa etsi non daretur Berlusconi, come se Berlusconi non esistesse, a prescindere da lui. Ma questo si risolve in una negazione permanente della democrazia, in cui tutto il resto passa in secondo piano».

Questa visione manichea della realtà italiana è una costante della storia nazionale?
«E’ sempre stato così. E’ una costante della storia culturale dell’Italia fin dall’Unità».

Come esempi di intellettuali irregolari, non conformisti, lei cita, fra gli altri, i nomi di Chiaromonte, Orwell, Camus, Aron, della Weil: chi sono gli irregolari italiani di oggi?
«Nel libro faccio i nomi di due italiani: uno vivente, Alberto Arbasino, e un altro che è uno scrittore che mi è molto caro, Ennio Flaiano. In uno dei libri di Flaiano, “La solitudine del satiro”, c’è quell’elemento della solitudine che, secondo me, caratterizza proprio l’intellettuale irregolare».

Il conformismo della sinistra italiana è consistito anche nel non ammettere l’importanza nel Novecento di un filone di sinistra liberale e anticomunista?
«Questo filone, che comprende tra gli altri Orwell, Camus e Aron, ha rappresentato un fronte intellettuale antitotalitario. Un fronte di cui facevano parte anche figure come Hannah Arendt, Mary McCarthy e Nicola Chiaromonte, che aveva partecipato alla guerra civile di Spagna dalla parte degli anti-franchisti ma in posizione di forte polemica con il comunismo. Certamente quella sinistra antitotalitaria - insieme antifascista e anticomunista - ha rappresentato un filone minoritario sul piano culturale e politico. Perfino un romanzo come “1984” è stato equivocato e lo si è interpretato come se Orwell stesse parlando non del comunismo ma di un mondo dominato dalla tecnologia. Ecco, quella sinistra lì è quella che a me piace, una sinistra lontana anni luce da quell’altra sinistra che è stata ed è purtroppo ancora oggi maggioritaria in Italia».

Gli intellettuali di sinistra italiani come si sono comportati verso il fenomeno Berlusconi?
«Tutto è stato subordinato alla battaglia contro il tiranno. Per loro, Berlusconi è un riassunto antropologico di tutto ciò che detestano».

Principalmente che cosa detesta, la sinistra, in quel tipo antropologico?
«La volgarità, il rapporto con la ricchezza e il politicamente scorretto».

La sinistra intellettuale italiana rischia di morire di conformismo?
«La sinistra è ormai agonizzante per colpa di questo conformismo. Quanto al futuro, non ho la palla di vetro, quindi, non so come andrà a finire».