Da Moro a Craxi, da De Gasperi a Berlinguer, una carrellata sui primi 40 anni di democrazia nel libro «I cari estinti»

Pansa: «Politica pulita, guerra persa»

Il giornalista: «Non ho nostalgia della Prima repubblica ma oggi c’è fanatismo»

«Bisognerebbe resuscitare Mariano Rumor», e ancora, «Vedo buio per il futuro del mio Paese e sono spaventato», ma la «Prima repubblica non era un paradiso ma nemmeno un inferno e dobbiamo raccontarla».
Sono le idee di Giampaolo Pansa, 50 anni di giornalismo in tutte le principali testate italiane, dalla Stampa al Corriere, passando Repubblica ed Espresso per arrivare, per ora, a Libero e al Riformista.

Pansa, autore di best seller che hanno fatto discutere come «Il sangue dei vinti», «La grande bugia», «I gendarmi della memoria», propone ora «I cari estinti» (Rizzoli, 502 pagine, 22 euro, in libreria da mercoledì 24). Il giornalista, 74 anni, anticipa i temi del suo nuovo lavoro, dedicato alla Prima repubblica, popolata da personaggi come Rumor, Forlani, Craxi, De Mita, Berlinguer, Andreotti, Moro, in questa intervista al Centro.
In questi giorni del 1978 lei, da giornalista di punta, era alle prese con un caso tremendo, il rapimento di Moro che si concluse il 9 maggio con l’assassinio da parte delle Brigate rosse dell’esponente democristiano. La Seconda repubblica è iniziata in quei giorni?

«No, secondo me no, perché la Dc di cui Moro era uno dei numeri uno, non è mai stato il partito di un uomo solo, c’è una grossa differenza tra la Dc e il Pdl di oggi. Da quando è iniziato a formarsi come Forza Italia prima e ora come Pdl, è sempre stato il partito di una persona sola: Berlusconi. La Dc, invece, non è mai stata il partito di un uomo solo, nemmeno ai tempi di De Gasperi. Quindi anche se il sequestro e poi l’assassinio di Moro sono stati un colpo durissimo, profondo alla Dc, non l’hanno distrutta. No, la Seconda repubblica nasce solo dopo il crac di Tangentopoli. Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista, vincitori della guerra civile dopo il fascismo, sono poi finiti nel pantano della guerra per la politica giusta, pulita».

E’ una guerra persa definitivamente nel nostro Paese?
«Io temo di sì, e non soltanto per colpa dei partiti. Nei partiti, come nei giornali, negli ospedali, c’è di tutto. C’è quello corretto e ci sono gli approfittatori. Ma nella seconda Repubblica la corruzione non solo non è stata eliminata ma addirittura si è diffusa. I partiti centralizzati stanno scomparendo, sono solo dei clan, anche affaristici, dove ormai non comanda più nessuno. Posso essere Berlusconi, Bersani o Di Pietro ma se mi chiedessero cosa accade nella mia parrocchia, se fossi onesto, dovrei dire che non lo so. Adesso, per esempio, i magistrati si concentrano sull’attacco a Berlusconi, basta vedere quello che accade a Trani... D’altronde l’ha detto anche la Corte dei Conti che la corruzione è aumentata. E anche voi, a Pescara, ne sapete qualcosa».

Perché dice che quello dei magistrati di Trani è un attacco a Berlusconi?
«Perché partendo da un’inchiesta sulle carte di credito arrivano a intercettare il premier, il direttore del Tg1. Ma dov’è il reato? Io ho il fondato sospetto che sia una bolla di sapone, ma esistono molti magistrati che vogliono farsi vedere, a cui piace stare sotto i riflettori. Ma non è questo il tema del mio libro. Gli umori della gente li ho riassunti in un vecchio detto, si stava meglio quando si stava peggio. Bisogna raccontarla questa Prima repubblica. Era un inferno? No. Era un paradiso? No, raccontiamola allora».

E com’è stata la Prima repubblica?
«Soprattutto nei primi decenni è stato un regime con un colore unico, vinceva sempre la Dc. Fino al 1992 ci sono stati 50 governi, ben 45 hanno avuto presidenti dc. Ma è stato un partito autoritario, che pensava ai suoi affari? No. Alla fine è stata una lotta politica, finita male. C’erano, in realtà due blocchi fortissimi. Nel 1976 la Dc e il Pci avevano il 73 per cento dei voti. E Bettino (Craxi) ha provato a mettersi in mezzo».
Siamo orfani della prima repubblica?
«Sì. A parte i ragazzi di oggi che non leggono, dalla generazione di chi aveva 20 anni alla fine della guerra è un orfano della Prima repubblica».

Lei ha conosciuto bene un personaggio fondamentale nella storia della Prima repubblica, Bettino Craxi, di cui recentemente (il 19 gennaio sono stati ricordati i 10 anni dalla morte, avvenuta ad Hammamet) si sta rivalutando la figura.
«Io odio la parola riabilitare, perché sa di Partito comunista sovietico. Craxi è stato un personaggio che non può essere giudicato soltanto per l’ultima fase della sua politica. Alla fine ha approfittato del sistema, certo, ma come hanno fatto tanti democristiani e tanti comunisti. Craxi ha tentato di creare un’alternativa alla Dc e al Pci, che non era solo diventare presidente del Consiglio. Il blocco formidabile del 73 per cento dei due partitoni ha provato a scardinarlo».

Tangentopoli può essere stata una reazione del blocco formidabile, come lo chiama lei, all’irruenza di Craxi, un modo per farlo fuori?
«No, tanto è vero che Tangentopoli ha distrutto la Dc e, di fatto, poteva distruggere anche il Pci che invece è stato salvato da una parte della magistratura. No, Tangentopoli è nata perché il sistema delle tangenti era diventato opprimente».

C’è un personaggio della Prima repubblica di cui oggi ci sarebbe bisogno?
«Ci sarebbe bisogno di un vecchio doroteo. A me non sono mai piaciuti i dorotei perché, per carattere, erano dei calmieratori del fanatismo, del disordine, erano per l’equilibrio. Però oggi ci sarebbe bisogno di loro. Certo, Berlusconi non lo è, tantomeno Di Pietro, Fini adesso sta scassando il partito. Bisognerebbe resuscitare Mariano Rumor».

Una definizione di Enrico Berlinguer, altro personaggio che lei ha conosciuto bene, a lei rilasciò l’intervista in cui il segretario del Pci disse che si sentiva protetto dall’ombrello della Nato.
«Berlinguer è stato un leader poco coraggioso, perché aveva capito che il rapporto tra il suo partito e l’Urss avrebbe finito per distruggere il Pci ma non ha saputo fare il salto del Rubicone. Doveva fare quello che Occhetto ha fatto molti anni dopo. E’ stato un leader monacale, da rispettare, ma alla fine della fiera avrebbe dovuto fare quello che hanno fatto i socialisti tedeschi subito dopo la seconda guerra mondiale, scegliere una socialdemocrazia europea invece che l’Urss».

Come vede il futuro del Paese?
«Vedo un triste destino, sono anche impaurito. E’ un Paese dove sembra non comandare più nessuno, c’è un fanatismo eccessivo, un menefreghismo eccessivo. Sta diventanto il Paese degli eccessi. Il tempo del centrodestra è finito, penso. Ma sull’altro versante c’è una accozzaglia che abbiamo visto la scorsa settimana a piazza del Popolo. Non si può immaginare un governo alternativo a Berlusconi con Bersani, Di Pietro, Vendola, i radicali. Io ho 74 anni, fumo troppo e non faccio ginnastica, dovrei avere paura per il mio futuro e invece vedo buio per il futuro del Paese e sono spaventato. Soprattutto non c’è una volontà di intesa tra i due blocchi. Va bene che siamo in campagna elettorale, ma fino al 2013 che facciamo? Non ci mettiamo d’accordo su niente?».

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