«Peligni sarete voi» Taranta chiede di cambiare nome

Il paese ripudia l’aggettivo della valle sulmonese «Siamo su un altro territorio, Taranta è sufficiente»

TARANTA PELIGNA. Metti un Comune che al suo nome tramandato tra le generazioni ha associato un aggettivo ritenuto sbagliato. Aggiungi che fu il consiglio comunale dell’epoca, ben 133 anni fa, a farsi promotore di quella inesattezza. Somma pure che quello svarione ebbe l’imprimatur nella formula “per grazia di Dio e per volontà della nazione”, come era prassi per il legittimismo monarchico, ed ecco che il minestrone è servito. Succede a Taranta Peligna, nel Chietino, alta valle dell’Aventino, 425 abitanti, 460 metri di altitudine, il paese delle coperte e della cappelletta dedicata ai 55 caduti della Brigata Maiella.

Poleonimo e territorio. L’amministrazione comunale in carica - supportata dalle indicazioni della popolazione - vuole disfarsi dell’aggettivo Peligna, visto che quell’attributo non ci azzecca proprio con il territorio sul quale si erge il paese.

Il monte Macellaro, con i suoi 2.646 metri, svetta sulla Maiella e sta lì a dividere questa parte orientale del massiccio montuoso della dea Maja, in origine abitato dai Carricini o Carecini, una delle quattro tribù che costituivano il popolo dei Sanniti, dal versante occidentale, quello di Sulmona, per intenderci, dove c’era il popolo italico di lingua osco-umbra dei Peligni. Insomma, un poleonimo vero soltanto a metà e sul quale è venuto il momento di fare chiarezza mettendoci mano.

Che cosa dice la Costituzione. In aiuto dell’ente locale va la Costituzione repubblicana: nel Titolo V dedicato a Regioni, Province e Comuni, all’articolo 133, secondo comma, è scritto che “La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni». Dunque, una procedura neanche tanto complicata consentirebbe di ripristinare la denominazione di una volta, Taranta, anche perché in Italia non ci sono altri Comuni con nomi uguali.

La determinazione del sindaco. «È venuto il momento di fare chiarezza sul nome del nostro Comune, dal cambiamento avvenuto il 20 agosto 1881 con regio decreto del re Umberto I», dice il sindaco Marcello Di Martino, 59 anni, al secondo mandato da primo cittadino, «perché l’aggettivo Peligna con questo territorio non c’entra niente. Noi vogliamo chiamare il Comune Taranta e basta». In una cartina dei musei vaticani è indicata anche Tarantola: esisteva Tarantola qui? Forse si è trattato di un refuso.

Il punto di vista dello storico. «Appena dopo l’unificazione dell’Italia», spiega Enrico Rosato, 63 anni, appassionato di storia locale, «ci fu una legge di riforma amministrativa territoriale per l’istituzione di prefetture e di molti comuni, mentre altri comuni cambiarono nome. L’appellativo Peligna che ci è stato attribuito possiamo giustificarlo dal punto di vista etimologico più che storico: infatti in maniera primitiva, il nome peligno significa abitatore di montuose contrade.

Nel regio decreto si parla di delibera del consiglio comunale di Taranta che chiede l’autorizzazione a cambiare la denominazione originaria: bisogna verificare se la richiesta è effettivamente partita dal Comune o dai centri vicini o se è stata imposta. La delibera non c’è più perché il paese fu fatto esplodere casa-casa dai tedeschi nella Seconda guerra. Bisognerebbe fare ricerche più approfondite. Comunque, sono favorevole al vecchio nome. Si dovrebbe ascoltare la popolazione magari con una consultazione sul web».

I funzionari di Sip e Banca d’Italia. Per Ernesto Merlino, 77 anni, ex funzionario della Sip che vive a Modena, «questo aggettivo è fuori luogo: con i peligni non abbiamo nulla in comune. Siamo in un punto apice tra Frentani e Sanniti, ma solo dietro la Maiella ci sono i Peligni. Sono d’accordo sulla necessità di tornare al nome d’origine, sarebbe il caso di raccogliere le prime adesioni. Sono convinto che Lama dei Peligni e Torricella Peligna ci seguiranno». Anche Graziano Merlino, 81 anni, ex funzionario della Banca d’Italia, per 50 anni fuori dal paese d’origine, «i Peligni non abitavano qui ma in tutt’altra zona dell’Abruzzo. Quando ero al lavoro, quanti conoscevano questa vicenda mi prendevano in giro per l’accostamento improprio tra il nome del Comune e l’aggettivo. La vicenda è fondata e va sanata presto. Ecco, chi di dovere si faccia avanti: io sono favorevole».

La battaglia di Napoleone. Dicono gli storici che anche il fondatore del Primo impero francese perse a Waterloo per colpa di una mappa sbagliata. Certo, questa di Taranta Peligna è tutta un’altra vicenda. Ma a quell’epoca che ne sapevano di Taranta re Umberto I, nato a Torino, Agostino Depretis, presidente del Consiglio, originario di Pavia, e il guardasigilli Giuseppe Zanardelli, bresciano? Nulla. Comunque vada a finire questa storia, viva l’Italia unita, viva Taranta, viva i Carecini e anche i Peligni.

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