"Riforma della giustizia, ecco le mie tesi eretiche"

Manfredi, consigliere della Corte d'appello dell'Aquila: "Nuovo Csm e carriere separate: non sono contrario"

In questa pagina pubblichiamo una riflessione sulle proposte di riforma in materia di giustizia inviata al Centro dal magistrato Aldo Manfredi. Marchigiano di San Benedetto del Tronto, 56 anni, Manfredi è attualmente consigliere di Corte di appello all'Aquila, dove è addetto alla sezione penale. In magistratura dal 1982, Manfredi è stato, per dieci anni dal 1989, gip (giudice delle indagini preliminari) presso il tribunale di Teramo, poi coordinatore della sezione distaccata di Giulianova del tribunale di Teramo, e applicato come gip presso il tribunale di Milano. Come gip si è occupato dei primi processi relativi alla Tangentopoli teramana. Le sue sentenze in materia di colpe mediche hanno spesso fatto giurisprudenza.

di Aldo Manfredi *

Non posso negare di essere considerato dai colleghi un po' eretico, rispetto alle posizioni conservatrici della mia associazione, quando dico di essere assolutamente convinto della fondatezza, sul piano della coerenza sistematica e della conformità al sistema processuale, delle tesi di chi sostiene la necessità di addivenire alla separazione delle carriere (cosa diversa è poi come in concreto realizzarla), così come sono convinto che il potere enorme del pubblico ministero vada in qualche modo controbilanciato da qualche forma di controllo e responsabilità, così come è in quasi tutte le democrazie avanzate, come ben evidenziato dal collega Nordio in un suo recente intervento sul Corriere della Sera.

Altrettanto sono convinto che sia doveroso pensare ad una rivisitazione della struttura del Csm, che sarebbe da ipocriti negare si sia trasformato in una cinghia di trasmissione delle correnti, con un metodo di azione spartitorio, informato ad un rigoroso manuale Cencelli che da poche speranze anche al migliore dei magistrati che non abbia una sponda correntizia.

Due obiettivi della annunciata riforma costituzionale su cui si dovrebbe avere il coraggio di dirsi disponibili ad un leale confronto onde verificare il modo migliore di attuazione di obiettivi, ripeto, condivisibili, in modo da salvaguardare comunque il valore della indipendenza della magistratura, sia giudicante che requirente, che penso debba stare a cuore a tutti.

Non nego vi sia poi il problema della effettività del principio della obbligatorietà dell'azione penale, che va però a mio avviso salvaguardato, perché strettamente connesso a quello di uguaglianza, che è baluardo del sistema democratico, probabilmente introducendo non già interventi esterni di determinazione delle priorità, ma meccanismi che rendano verificabili le scelte operative e di priorità che inevitabilmente gli uffici del p.m. sono costrette a compiere.

Penso, ad esempio, alla previsione della indicazione da parte del procuratore generale della Cassazione e dei procuratori generali delle singole Corti di appello delle priorità che si intendono seguire, eventualmente tenendo conto delle indicazioni che potrebbero pervenire a livello nazionale dal Parlamento e a livello locale, in relazione alla specificità territoriali, dai consigli regionali.

Fermo restando che il miglior metodo per garantire la obbligatorietà e la sua effettività, immune da scelte discrezionali non controllabili, è incidere sui flussi attraverso una decisa depenalizzazione e la generalizzazione dell'istituto della irrilevanza o scarsa offensività del fatto, legittimante la inazione penale attraverso un percorso giurisdizionale di controllo, che riporti l'intervento penale a quelle estrema ratio che dovrebbe essere la sua ragion d'essere.

Così come i tempi del processo non si garantiscono prevedendo illogiche previsioni di azzeramento nel caso in cui non rispetti un data tempistica, ma ugualmente incidendo sui flussi, sull'assetto organizzativo, sulla struttura del processo in modo da velocizzarlo garantendo al contempo i diritti di difesa.

Quanto alla responsabilità civile è fuori di dubbio che non sia pensabile una indiscriminata possibilità di azione risarcitoria diretta, per le ragioni magistralmente rappresentate dall'insigne professor Trimarchi nel suo recente intervento sul Corriere.

La impossibilità dell'azione diretta ed indiscriminata è una guarentigia connessa alla funzione giudiziaria e non un privilegio, come invece in effetti può essere ritenuto il limite all'azione di rivalsa oggi previsto dalla legge, che certo potrebbe essere rivisto, o la mancanza, in caso di accertati casi di colpa professionale grave del magistrato, di sicure ricadute disciplinari o sulla carriera.

Come si vede, sono tutt'altro che prevenuto rispetto alle proposte di riforma che provengono dalla attuale maggioranza, con cui penso sia doveroso dialogare senza prevenzioni e retro pensieri.

Ciò spero mi possa accreditare meglio se di contro sostengo, quanto al più immediato intervento sui termini di prescrizione, che esso è del tutto illogico e irragionevole.

Ciò dico perché solo tre anni orsono, nel 2008, il legislatore intervenne (debbo dire opportunamente) modificando l'articolo 62 bis del codice penale, che riguarda le attenuanti generiche.

Ovvero quelle attenuanti che il giudice può concedere, al fine di dosare e diminuire la pena, tenendo conto di tutti gli aspetti che riguardano la personalità dell' imputato, e quindi indipendentemente dalla sussistenza di attenuanti specifiche (ad esempio risarcimento del danno, provocazione ecc.).

Ciò introducendo un nuovo comma in forza del quale la incensuratezza di per sé non può essere ritenuta motivo per la concessione delle attenuanti generiche.

In pratica il legislatore, registrando una certa automaticità, ritenuta lassista, nella concessione della attenuante in questione per il solo fatto della incesuratezza, ha eliminato, nel quadro di un intervento più generale di rigore, tale possibilità.

La incensuratezza è stata resa un dato neutro, come è giusto che sia, visto che può essere legata a fattori del tutto occasionali.

Si può essere ladri provetti già prima di essere beccati e sottoposti a processo per la prima volta, si può essere ancora incensurati ed avere pendenti vari processi, nei quali potrebbero essere state già pronunciate sentenze di condanna in primo e secondo grado non ancora definitive perché pende il più infondato dei ricorsi in Cassazione.

Tutto giusto.

Ma allora come si concilia tutto ciò con la previsione di una generale efficacia di favore sui termini di prescrizione della incensuratezza, ovvero di quello stesso dato reso irrilevante ai fini sanzionatori?

Inoltre l'intervento sull'articolo 62 bis del codice penale fu coerente con quello riguardante la revisione del sistema della prescrizione cui si addivenne con la legge numero 251 del 2005, che ebbe ad escludere ogni incidenza delle attenuanti e del possibile giudizio di valenza sui relativi termini, rafforzando la natura prettamente oggettiva di detto istituto, su cui non possono incidere valutazioni di tipo soggettivo, tra cui anche quella relativa alla incesuratezza.

La irragionevolezza della riforma in via di approvazione (e la ragionevolezza è il primo parametro di costituzionalità di una norma) mi sembra eclatante.

A meno che detto intervento non sia ispirato a finalità diverse, che peraltro i suoi sostenitori, a cominciare dal proponente, negano, riconducendolo a ragioni ed esigenze generali.

A tale prospettazione è doveroso credere, ma altrettanto doveroso è confrontarsi allora con i rilievi logici e sistematici che mi sono permesso di formulare e che, francamente mi sembrano difficilmente contestabili.

* Consigliere della sezione penale della Corte appello dell'Aquila

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