Statale Mare-monti, quando l’Anas passò dalla bocciatura al sì

Prima la bocciatura, poi il via libera alla variante. L’accusa: «D’Alfonso mediò con il dirigente». Mai valutato l’impatto ambientale dell’opera. Il direttore Minenna disse no alla variante: altrimenti rescissione del contratto. Ma poi cambiò idea

PESCARA. Un chilometro e settecento metri di strada che tagliano una riserva naturale approvati senza Valutazione di impatto ambientale. Una perizia di variante «irricevibile» approvata dal dirigente Anas che l’aveva bocciata grazie alla presunta mediazione di D’Alfonso.

È un percorso singolare quello del primo lotto della Mare-Monti, la statale 81 Piceno Aprutina, il progetto che ha portato in carcere l’ingegner Carlo Strassil e causato l’iscrizione nel registro degli indagati di dodici persone nell’inchiesta della procura di Pescara condotta dal pm Gennaro Varone. Singolare non a causa dell’andamento «plano-altimetrico caratterizzato da una certa tortuosità», come scrive l’Anas nel novembre 2007 annunciando la partenza dei lavori nel tratto che va da Colle Formica a Contrada Campetto (1,7 chilometri su circa 10 complessivi).

Per via, invece, di quelle che l’ordinanza del gip Luca De Ninis definisce «una serie sconcertante di condotte fraudolente, falsi ideologici e sistematici abusi» che sarebbero stati volti da una parte a favorire il privato e dall’altro a «distribuire ai protagonisti somme quantificabili in alcuni milioni di euro senza che dell’opera sia stato ancora realizzato un centimetro quadrato».

I guai cominciano subito. La Toto spa riceve in consegna i lavori il 6 aprile 2001, e già nel novembre 2001 la Provincia chiede la perizia di variante, secondo l’accusa «a quella data già redatta dalla Toto». Il 4 febbraio 2002 l’opera viene sospesa. Più di un anno dopo, il 23 settembre 2003, gli enti riuniti nella Conferenza dei servizi avallano in via definitiva il progetto e il geologo Angelo Di Ninni viene incaricato dall’amministrazione provinciale di eseguire uno studio di compatibilità ambientale, che sarà depositato il 9 ottobre con elaborati, osserva il gip, in cui «il confine della riserva è rappresentato falsamente». Nella sua relazione, Di Ninni (indagato per falso) avrebbe sostenuto: «Il tracciato in variante, nella sua ipotesi definitiva, non interferisce con le aree tutelate dal vincolo di riserva».

Il comitato regionale per la Valutazione di impatto ambientale (Via) afferma in seguito che l’ipotesi progettuale che prevedeva una parte del tracciato dentro l’oasi è stata «abbandonata» ed esclude la necessità della Via, mentre il Comitato regionale per l’Urbanistica sostiene che il tracciato è «migliorativo» perché evita la fascia di rispetto della riserva.

A queste condizioni, arriva anche il nulla osta della direzione dei Beni ambientali. Soltanto nel 2008, quando il cantiere sarà sequestrato dopo l’invasione della fascia di rispetto della riserva del Lago di Penne da parte delle ruspe e l’ufficio Via rivedrà la propria posizione, riconoscendo che il tracciato «era stato falsamente rappresentato». Gli agenti del Corpo forestale scoprono addirittura che per la realizzazione di un piccolo frantoio nell’area del tracciato della Mare-Monti, adiacente all’oasi Wwf, era stata seguita «una procedura assolutamente più rigorosa con preventivo interessamento e nulla osta dell’ente Parco, mentre nel caso della Mare-Monti, scrive De Ninis, «si era evitata la procedura della Via a beneficio della Toto».

Eppure all’inizio di questa storia, secondo l’Anas, la variante dello scandalo non avrebbe dovuto essere proprio realizzata. A sostenerlo era stato il direttore centrale dell’Anas Michele Minenna, secondo il quale la variante avrebbe modificato «in modo sostanziale i lavori». «Una siffatta richiesta, alterando la natura dell’appalto, ingenera una turbativa nei rapporti Anas-impresa dai risvolti imprevedibili» aveva avvertito, chiedendo agli enti pubblici di confermare invece il progetto iniziale perché «in caso contrario si procederà a rescindere il contratto».

Tuttavia, dopo la sospensione dei lavori, avvenuta il 4 febbraio 2002, la procedura va avanti. Il successivo 2 aprile Roberto Lucietti, responsabile Anas del procedimento presenta la richiesta di autorizzazione a redigere la perizia di variante che, secondo la ricostruzione della procura, ha un testo identico a quello ritrovato nel notebook di un dipendente dell’impresa Toto. La perizia di variante viene redatta il 9 giugno 2004 e sottoposta al dirigente Anas che aveva già bocciato l’idea: questa volta, però, Minenna approva. Il 3 febbraio 2005 il progetto ottiene il via libera definitivo col presupposto dell’errore progettuale, con la modifica del quadro economico che viene portato a 20 milioni di euro.

Ma perché Minenna «cambia radicalmente la propria impostazione»? come scrive il gip. Secondo De Ninis «le ragioni di un tale clamoroso cambio di orientamento» devono essere rintracciate in un fax sequestrato nell’ufficio romano del dirigente e indirizzato a Luciano D’Alfonso, presidente della Provincia quando l’iter ha inizio, nel 1996, e a quell’epoca sindaco di Pescara: «Caro Luciano, ti informo che l’annoso problema di Penne è risolto. Il consiglio di amministrazione dell’Anas ha approvato il progetto aggiornato. La consegna dei lavori avverrà a breve. Ti ringrazio per il contributo determinante alla soluzione della vicenda».

D’Alfonso, sostiene l’accusa, avrebbe avuto rapporti «confidenziali» con il commissario straordinario della Mare-Monti Valeria Olivieri e con lo stesso Carlo Strassel. Dunque, «se ne desume che i Toto abbiamo ottenuto la piena collaborazione di Minenna attraverso la mediazione del referente politico dell’imprenditore, Luciano D’Alfonso». Questa, almeno, è l’ipotesi dell’accusa.

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