ABRUZZO

Terremoto in Turchia, 3 abruzzesi salvi per miracolo

Sono tecnici della Diatec Andritz di Collecorvino: «Tremava tutto, è stato un vero inferno»

Un boato improvviso, cupo, dalle viscere della terra. Seguito da un'interminabile scossa: più di 60 secondi di terrore hanno devastato la provincia di Kahramanmara, al confine tra Turchia e Siria. Alle 4,20 di lunedì notte, le 2 e 20 ora italiana, Davide Tini, 24 anni, di Silvi Marina, Luigi Di Giovanni, 50 anni, di Pescara e Antonio Torelli, 44 anni di Miglianico, dipendenti dell'azienda abruzzese Diatec Andritz, di Collecorvino, sono stati sorpresi nel sonno dal devastante terremoto di magnitudo 7,5 con epicentro a Ekimozu.

Alloggiavano all'hotel Dedeman di Gaziantep dal 9 gennaio scorso, in viaggio di lavoro in Turchia, dove stavano montando un macchinario per la produzione di pannolini per neonati. «Siamo scioccati, ma salvi», le poche parole pronunciate da Davide Tini, «anche se le scosse proseguono a ritmo serrato. È buio e siamo tutti riuniti nella hall dell'hotel, dove trascorreremo un'altra notte di terrore».

Davide Tini

LA SCOSSA DEVASTANTE In pochi istanti, la tragedia. Il sisma più forte dal 1939, mille volte più violento rispetto a quello che, nel 2016, ha colpito Amatrice e 30 volte più forte del sisma dell'Irpinia del 1980. Circa 4mila morti (il dato a mezzanotte di ieri), decine di migliaia i feriti, stando ad un primo bilancio. Tra gli italiani presenti nella zona del disastro, i tre abruzzesi dipendenti della Andritz.

Quando riusciamo a raggiungere telefonicamente Davide Tini sono le 17, le 19 in Turchia. «Siamo chiusi nella hall dell'albergo, in una zona apparentemente sicura. La scossa, fortissima, ci ha sorpreso nel cuore della notte, erano passate da poco le 4. Un inferno». Davide parla a fatica. Stenta a ripercorrere con la mente quegli istanti. «Si muoveva tutto, l'albergo oscillava come fosse una barca», dice, «dormivamo in stanze singole, ma non c'è stato il tempo di realizzare. Siamo fuggiti in pigiama, senza poter prendere nulla. Ci siamo ritrovati fuori, tra la gente che gridava e piangeva. Faceva molto freddo, c'erano -4 gradi, ma era impossibile rientrare. La terra continuava a muoversi».

Solo qualche ora più tardi Davide, Luigi e Antonio sono saliti in camera: il tempo di indossare un paio di jeans, un giaccone per proteggersi dal freddo pungente, e di prendere il passaporto. Niente bagagli. «Ci siamo accampati all'ingresso», racconta Tini, «l'albergo non ha avuto grandi danni, qualche crepa, ma la struttura nuova ha retto».

IN MISSIONE DI LAVORO I tre abruzzesi erano in Turchia da un mese, in missione di lavoro. Stavano installando in un'azienda del posto un apparecchio della Diatec Andritz per la produzione di pannolini. Sarebbero rientrati a breve in Italia. «Alloggiamo in una zona residenziale, con molti alberghi», spiega Tini, «ma tutt'intorno è la devastazione. Solo macerie su macerie». La skyline è una lunga distesa piatta sa cui si sollevano polvere e fumo. Nella hall le poltrone arancioni sono occupate da bambini in lacrime e anziani. I più giovani sono ammassati sul pavimento, stretti gli uni agli altri. Il bar serve bevande senza interruzione.

«Si cerca di fare il possibile», dice ancora Tini, «ma ci hanno chiesto di avere pazienza. Abbiamo subito contattato l'ambasciata in Turchia e il consolato italiano per rientrare al più presto in Italia, dove le nostre famiglie aspettano. Ma non sappiamo quando e come sarà possibile». A Gaziantep fa notte presto. Nevica e il freddo penetra nelle ossa. «Siamo costretti a restare al chiuso, trascorrere un'altra notte al gelo è impossibile», spiega Tini.

ORE DI ANGOSCIA In Abruzzo tre famiglie sono in attesa di riabbracciare i propri cari. Carmine Tini, il papà di Davide, ha ricevuto la notizia di prima mattina quando ancora non aveva acceso la Tv. Alle 6,30 è squillato il telefono: è stato il figlio a comunicargli quanto accaduto. «Non sapevo ancora del devastante terremoto in Turchia», afferma Carmine, «quando Davide mi ha detto che erano in salvo, ho tirato un sospiro di sollievo. Sono fuggiti in pigiama, senza niente. Non c'è stato il tempo».

L'angoscia in casa è cresciuta con il passare delle ore: sullo schermo immagini di morte e devastazione. Edifici crollati, dispersi sotto le macerie. E i primi, disperati, soccorsi alla ricerca dei sopravvissuti. «Mi è sembrato di rivivere le scene del terremoto dell'Aquila. L'apprensione è forte come il senso di impotenza nella consapevolezza di non poter fare nulla per riportare mio figlio e i colleghi subito in Italia».

Anche Carmine ha preso contatti con l'Ambasciata italiana. «Tutti i voli dalla Turchia, al momento, sono bloccati e gli aeroporti chiusi. Nessuno sa dare indicazioni precise sul rientro: non ci resta che attendere», aggiunge, «ma ogni istante che passa, l'angoscia aumenta».

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