Paolo Cagnan dell’«Alto Adige» firma il volume della Vallecchi che ricorda un taccuino stile moleskine

Un cronista sulla Transiberiana

Un viaggio d’altri tempi, in treni approssimativi tra Mosca e Pechino

C’è qualche buon motivo per essere grati a Paolo Cagnan, giornalista del quotidiano Alto Adige, ma che qui compare quale autore di un libro tanto elegante nella forma (un piccolo taccuino con gli angoli arrotondati, a mo’ di moleskine) quanto ricco, curioso, appagante nella sostanza. Ha scritto un libro di viaggio di 206 pagine a 10 euro. Incredibile: con il prezzo di uno scadente aperitivo in un triste bar di qualsivoglia centro, si acquista la possibilità di un viaggio impagabile. E si conoscerà, di qui la gratitudine, Chimedoorj, «il mongolo puttaniere che girava in Mercedes e che divenne un barbone». Letta la sua incredibile storia - e che qui non sarà svelata - sarà anche facile riabilitare una categoria, quella dei puttanieri appunto. Ma non sarà solo Chimedoorj a lasciare il segno. Si beve d’un fiato il taccuino di viaggio di Cagnan. Titolo: «Con tutti i posti che ci sono». Sottotitolo: «Cronache semiserie lungo la Transiberiana». L’editore è Vallecchi, la collana - di nicchia quanto sfiziosa - è quella Off the road.

Cagnan si è fatto in treno la tratta che separa Mosca da Pechino. Aveva tre settimane di tempo e dunque ci ha messo delle soste. Il libro racconta - in quaranta agili capitoletti - il viaggio lungo i binari e gli stop intermedi. Ventotto ore di viaggio da Mosca a Ekaterineburg, prima tappa. Poi via, a Novosibirsk, 19 ore. Di lì a Irkutsk, le ore in treno sono 32. La tappa seguente lo porta a Ulan Bator, capitale della Mongolia: trentatré ore (ma colà incontra Chimedoorj). Infine, l’ultimo balzo, fino a Pechino, trenta ore.

In tutto, «centoquarantadue ore a bordo. Niente male» scrive l’autore. No, niente male, specie se lo sguardo che si esercita è altro da quello di chi se ne sta incollato al finestrino, a vedere il mondo scorrere. Cagnan va incontro al mondo, è curioso. Il balzo da Mosca a Pechino restituisce esattamente quegli «odori, suoni, luoghi, sapori» e quelle «persone e cose» che il viaggiatore elenca nell’epilogo finale, che assomiglia tanto a dei titoli di coda.
Prima, giustappunto, c’è il film. Girato dentro le rovine degli imperi zarista e comunista in Russia, attraverso gli infiniti altipiani dell’Asia centrale, fino al cospetto del cadavere imbalsamato di Mao, il grande timoniere.

Magari per scoprire invece Sukhbaatar, l’eroe dell’ascia che fece comunista la Mongolia, morì a 30 anni e oggi è quasi dimenticato. Si beve d’un fiato questo viaggio. Popolato da personaggi strani, controllori improbabili, contrabbandieri caucasici, ragazzine in minigonna, scienziati che studiano il lago Baikal (che è lungo 636 chilometri ed è largo 48), accompagnatori turistici che masticano inglese, guardie di confine che a stento parlano russo o cinese, turisti (pochi e sperduti), pastori nomadi nelle yurta mongole, ex ufficiali dell’Armata rossa, giovani in skateboard, tracce di disastri ambientali, miniere di carbone clandestine, tassisti da raccomandarsi l’anima al cielo.

Ecco, con tutti i posti che ci sono, Paolo Cagnan si è infilato in questi, di posti e ha fatto bene. Soprattutto, ha fatto bene a raccontarlo. Infine, come no?, lunga vita al puttaniere Chimedoorj.