ALLIGATOR DONALD TRUMP

Su X, quattro alligatori, in fila prospettica. Indossano tutti il cappellino da guardia carceraria con la scritta ICE: “Immigration and Customs Enforcement”, l’agenzia federale Usa che si occupa di immigrazione e controllo delle frontiere. Il relativo post si staglia un po’ agghiacciante e un po’ ridicolo: “Coming soon”, presto in arrivo. Non è l’account di un nuovo film della Warner. Neppure un vecchio manifesto del Ku-Klux Klan. È il sito ufficiale del Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti d’America, l’Homeland Security. Come se quel presagio feroce non bastasse, scorrendo sotto, troverete ancora altre notizie da AlligatorLand che segnalano l’arresto di pericolosi criminali (non ancora processati, però), il gioioso scritto dell’alligatore capo, Donald J. Trump, che celebra «THE GIANT WIN», la (sua) gigantesca vittoria per la recente sentenza della Corte suprema sugli immigrati. Eppoi la (tristemente) famosa fotografia di quei poveretti, ripresi di spalle mentre sono ammanettati coi ferri di campagna e vengono spinti su un aereo militare che li riporterà a morire di fame, caldo o criminalità nei loro paesi d’origine. L’Homeland Security al tempo di Trump li chiama “Illegal aliens”. Si traduce clandestini, ma alieni illegali meglio descrive cosa siano per i trumpisti. È il volto truce e pagliaccesco del potere, inaugurato magistralmente dalla foto ufficiale del 47° Presidente degli Stati Uniti. Un Trump ingrugnito, il sopracciglio destro abbassato, inarcato il sinistro. “Ora ve la faccio vedere io”, sembra dire. E così ha fatto in questi 190 estenuanti giorni di minacce, figuracce, avant’ e ‘ndrè del Presidente che «non sa se vorrà rispettare la Costituzione» e che ha deciso che il suo precipuo ruolo è quello del giudicare: separare i buoni dai cattivi, il grano dal loglio. Seduto in trono, Alligatrump «atterra e suscita, affanna e consola». Meloni, buona. Starmer (primo ministro inglese) cattivo, ma non se porta un invito di Re Carlo a Balmoral. Carney (Canada), prima cattivo, poi buono, se elimina i dazi. Europa? Una manica di scrocconi, salvo poi diventare un club di amici che contribuiscono con il 5% del Pil alle spese della Nato. Che prima era uno strumento «superato dalla Storia», per tornare poi ad essere la “più forte alleanza difensiva del mondo”. E la Spagna se la vedrà con lui, visto che si è ribellata.
E ancora, bombe all’Iran che non viene a più miti consigli, ma subito dopo gli offriamo 30 miliardi di dollari per riprendersi dallo shock. Xi Jinping? «Se ne pentirà, ma siamo in buoni rapporti». Un indigeribile polpettone di prepotenza e maldestrezza, di schizofrenia e goffaggine che non preoccuperebbe granché, se non venisse da quel signore che tiene legata al polso la valigetta coi codici nucleari. Alla fine, però, direte, sono affari della (ex) più grande democrazia del mondo, problemi della politica del (già) faro dell’Occidente, questioni interne della (una volta) più prolifica fucina di premi Nobel. Forse. Ma anche CrocoTrump una cosa buona l’ha fatta: ed è essere così cattivo nella pur cattiva banda dei cattivi, così politicamente scorretto, così aggressivo verso la stampa, i giudici, le Università, gli intellettuali e le opposizioni che, come d’improvviso, Salvini & co. appaiono nella loro ingenuità, nella leggerezza della tradizione dei tarallucci e vino. Con un solo tratto di penna, un solo post, si cancellano le durezze delle galere di Albania, si addolcisce il viso feroce del divieto di rave party, si stempera il ringhio nordista del “dagli all’africano”, si ammoscia il manganello di Piantedosi. L’italica malvagità fa ridere e sorridere nel confronto con gli alligatori a stelle e strisce. Il ghigno tricolore prende le forme della contraffazione senza qualità, come le borse di Dior che vendono i vùcumprà nelle spiagge dell’adriatico. Ecco, grazie a Trump e alle sue immagini, la banda tricolore dei cattivi sembra proprio The League of Super Evil dei fumetti: arrangiaticcia, inefficace, sempliciotta. Come direbbe Francesco Merlo, in Italia tutto finisce in una pernacchia.