Da Chiclayo a Chicago: due consonanti che cambiano una vita

L’editoriale del nostro direttore per l’elezione di Papa Leone XIV: “Un Papa americano ma anti-trumpiano. Un Papa cattolico, apostolico e romano, nettamente contrario alla politica del riarmo”
É passato dalla diocesi di Chiclayo, Perù, a quella di Chicago, Illinois: questo giro del mondo chiuso in due consonanti, ti spiega chi è Leone XIV meglio di qualsiasi altra citazione o sintesi.
Ci voleva davvero tutta l’intelligenza millenaria (e anche una particella di sapida perfidia) perché un organismo complesso come la Chiesa di Roma, riuscisse a partorire in un solo giorno questo prodigio: un Papa americano ma allo stesso tempo anti-trumpiano, nel senso più etico e valoriale che si possa immaginare. Un Papa cattolico, apostolico e romano, nettamente contrario alla politica di riarmo che oggi sembra l’unico mantra dei governi occidentali.
Donald si fotografa con la Papalina per dire che vuole mettere il cappello su di un nuovo mondo plasmato a propria immagine e somiglianza, Robert parla (benissimo) in italiano, latino e spagnolo, per spiegare che la sua prima missione sarà la stessa di Francesco: la pace.
Il presidente degli Stati Uniti probabilmente sognava un Papa che potesse essere un suo alleato, magari a favore dei dazi, ne ha trovato uno che nel suo primo discorso dice di voler abbattere muri e costruire ponti.
Questo Papa Robert Francis Prevost ha una faccia splendida, mentre milioni di persone leggono sul suo volto emozione contenuta, lampi di sorriso e pacatezza. Non dice che sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma da lì viene. Anzi, di più. Ha lasciato per scelta, da ragazzo, un mondo più ricco, americano (quello dove è nato), per andare a servire gli ultimi in un mondo più povero, sudamericano (quello che ha scelto) e diventare lì un uomo maturo. Nel sud del pianeta ha incontrato e conosciuto, prima di molti altri, il futuro Papa Francesco.
Questo Papa Leone nato negli Stati Uniti ha scelto un nome che evocasse immediatamente il padre della Rerum Novarum (come spiega il nostro Emanuele Di Nardo in queste pagine) l’enciclica che per la prima volta ha elevato a canone la dottrina sociale della Chiesa.
Questo Papa Robert ha fatto il missionario per buona parte della sua vita, poi Bergoglio lo ha scelto, lo ha nominato cardinale, lo ha trascinato al centro del Vaticano, proprio nel cuore dell’impero e del potere, lo ha collocato alla guida della congregazione dei vescovi per cambiare l’episcopato. Monsignor Prevost lo ha fatto così bene, e in manierà così discreta, che la maggior parte dei vaticanisti e degli osservatori se n’è accorto solo ieri. Eppure, durante l’ultimo pontificato, era di fatto l’uomo che aveva in mano le chiavi di casa della Chiesa, ecco perché con il senno del poi sembra incredibile che non fosse indicato in testa a tutte le liste dei papabili.
Sarà forse un Papa apparentemente meno “politico” e dirompente di Francesco, soprattutto nello stile. “Ma – come dice con sintesi folgorante il vaticanista Piero Schiavazzi – i suoi valori sono quelli di un perfetto antitrump che sta alla Casa Bianca come papa Giovanni Paolo II stava ai sovietici e al Cremlino”. Potrebbe essere, anche per temperamento, il pontefice che mette a norma e trasforma in codice canonizzato, i grandi strappi della Rivoluzione Bergogliana.
Questo perché la linea e i contenuti, anche se con gli spigoli smussati, sembrano gli stessi di Francesco. Lui, che è americano, alterna all’italiano e al latino un’unica lingua: lo spagnolo. E parla subito di Pace con un meraviglioso formulario, denso di contenuto, che rasenta lo scioglilingua: “Pace disarmata e pace disarmante, pace utile e pace perseverante”. Parte dal ricordo della ultima urbi et orbi di Bergoglio, a Pasqua. Chiama a raccolta i fedeli con questa parola d’ordine: “Aiutateci a costruire i ponti. Con i dialoghi. Con l’incontro. Grazie a Papa Francesco”. E quindi c’è quell’ultima parola chiave, ripetuta, che torna come un mantra: “Proclamare il Vangelo, essere missionari”. Ma allo stesso tempo c’è ancora una volta una identità ecclesiale doppia. Bergoglio era gesuita di formazione diventato francescano per elezione, Papa Robert è missionario per scelta, e agostiniano per anagrafe: “Sono un figlio di Sant’Agostino”. Un ordine intellettuale, per un pastore di strada. Le sue ultime parole, rilette sul taccuino, sembrano un rap: “Una chiesa che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicina a quelli che soffrono”.
Questi due papi cresciuti nel sud del mondo hanno conquistato il nord. E ieri si sono dati idealmente la mano, in una San Pietro incantata e millenaria, colorata di travertino e di porpora, ma raccontata in maniera spettacolare e tecnologica, dalla televisione vaticana, grazie a un drone che volava sui fedeli per inquadrare il primo piano del Papa. È un pontificato – anche visivamente – che si affaccia sul mondo, e che – mai come oggi – è davanti agli occhi del mondo.