TODAY

24 dicembre

Oggi, ma nel 1920, a New York, al Metropolitan opera house, il tenore partenopeo Enrico Caruso si esibiva per l’ultima volta prima di morire, a 48 anni, a Napoli, il 2 agosto 1921. Spirerà per la pleurite infetta che gli verrà diagnosticata il giorno dopo, 25 dicembre di quel 1920.

Caruso (nella foto, particolare, mentre ascoltava l'incisione della sua voce, essendo stato tra i primi cantanti lirici nel panorama tricolore ad acconsentire alle registrazioni, snobbate dai suoi colleghi) andava in scena, nel ruolo dell’ebreo Eléazar, in La Juive. Quest’ultima era una grand’opera in cinque atti di Jacques Fromental Halévy, su libretto di Eugène Scribe, che aveva debuttato a Parigi, all’Opéra, il 23 febbraio 1835, e che era stata portata in scena per la prima volta in Italia, a Genova, al Teatro Carlo Felice, il 6 marzo 1858.

Con la prova della vigilia di Natale, Caruso si era esibito nel tempio della lirica a stelle e strisce complessivamente 863 volte. Il 30 dicembre successivo verrà operato al polmone sinistro. Quindi trascorrerà la convalescenza a Sorrento, accudito dalla moglie americana Dorothy Benjamin. L’aveva sposata, il 28 agosto 1918, dopo la chiusura, in tribunale, della burrascosa storia d’amore col soprano Ada Botti Giachetti, durata 11 anni. A prestargli le cure ulteriori, che però si riveleranno inutili per la sua salute compromessa, ci sarà Giuseppe Moscati, definito “medico dei poveri” per l’opera pia prestata gratuitamente verso gli indigenti, che sarà canonizzato, da Papa Giovanni Paolo, nella basilica romana di San Pietro, il 25 ottobre 1987.

A New York Caruso aveva debuttato, il 23 novembre 1903, nel ruolo del duca di Mantova, in Rigoletto, opera drammatica in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave. A far ottenere a Caruso l’ambito contratto col Met era stato il banchiere Pasquale Simonelli, di Saviano, sempre nel napoletano. Le critiche di Saverio Procida, apparse su Il Pungolo, quotidiano che seguiva la scena teatrale nella città all’ombra del Vesuvio, del 31 dicembre 1901 e del 5 gennaio 1902, avevano infastidito Caruso.

Nei due articoli il giornalista aveva messo in evidenza come, nell’esibizione del 30 dicembre, al Teatro San Carlo, Caruso avesse scelto un repertorio al di sotto delle sue possibilità vocali e interpretative. Quell’inconveniente lo aveva convinto a non esibirsi più nella sua città di nascita, rifiuto che di fatto era divenuto un non cantare più in Italia, e si era rifugiato negli Usa.