27 luglio

Oggi, ma nel 1992, a Catania, in via Leucatia, sicari della Mafia uccidevano l’ispettore capo Giovanni Lizzio, catanese del 1947, capo della sezione anti racket della città siciliana nonché poliziotto già componente della squadra mobile catanese e simbolo della lotta al pizzo in quella parte dell’isola. L’agguato letale veniva messo a segno mentre era nella sua Alfa Romeo 75. L’omicidio avveniva otto giorni dopo la strage di via Mariano D’Amelio a Palermo costata la vita al magistrato Paolo Borsellino e a cinque agenti della scorta. La sua esecuzione, oltre che come segnale contro quanti si stessero occupando di usura ed estorsioni, rientrava nel più ampio piano di espandere la strategia della tensione criminale voluta dal boss Salvatore “Totò” Riina, capo dei Corleonesi, da Palermo a Catania.
Ed era anche considerato dagli addetti ai lavori il primo “sbirro” fatto fuori a Catania e per questo motivo la sua eliminazione destava enorme clamore a livello nazionale. Lizzio, sposato e padre di due figlie -in particolare Grazia porterà avanti il ricordo dell’estremo sacrificio paterno-, era considerato un vera e propria miniera di informazioni sulla malavita organizzata locale (nella foto, particolare, un momento della cerimonia d’intitolazione del parco alla sua memoria a Catania, in via Ammiraglio Francesco Caracciolo, il 24 aprile 2022, per volere della filiale di Catania dell’organizzazione internazionale Nuova Acropoli).
Era, inoltre, ritenuto reo di aver agito contro Giuseppe Pulvirenti, braccio destro del notabile di Cosa nostra Benedetto “Nitto” Santapaola. Verranno condannati come esecutori materiali del delitto Natale Di Raimondo e Umberto Di Fazio, a 12 anni di reclusione, e Giovanni Rapisarda, a 30. Come mandanti, oltre ai già menzionati “Totò u curtu”, Pulvirenti e Santapaola, verranno individuati Calogero Campanella e Aldo Ercolano.