PALLA AL CENTRO

Dybala, Kessie e Insigne: i sacrifici per salvare il calcio italiano

All’inizio Donnarumma e Calhanoglu, Poi, Insigne e Kessie. Adesso Dybala. Tutti calciatori che non hanno rinnovato il contratto in scadenza e hanno cambiato o cambieranno casacca. Senza che i club incassino soldi. Storie diverse. C’è chi non ha raggiunto un accordo economico e chi non si è nemmeno seduto a un tavolo per discutere. Campioni, idoli dall’ingaggio multimilionario. Asset aziendali, secondo esperti di economia applicata al calcio. Capitali nei bilanci delle società. Calciatori che sono beniamini dei tifosi. Bandiere irrinunciabili nell’immaginario collettivo.

Vicende che hanno in comune una destinazione: tutti fuori dall’Italia a meno che l’Inter non faccia follie per Dybala. Tutti all’estero dove ci sono più soldi. Si è parlato di scelta tecnica, in alcuni casi. Niente da fare, la realtà è diversa: il management del calcio italiano, finalmente, si è reso conto di essere sull’orlo del baratro e anche oltre. E quindi sta correggendo la mira. Non ci sono più le risorse per la corsa al rinnovo. Si può anche dire no alle richieste dei campioni. E i dirigenti cominciano a dirlo. Dietro il mancato rinnovo dei fuoriclasse (ricordate l’anno scorso l’addio di Messi al Barcellona?) c’è la resa del calcio (per ora quello italiano) alla corsa a chi spende di più. C’è una presa di coscienza, forse tardiva, dell’impossibilità di tenere certi ritmi. Perchè il calcio italiano ha miliardi di debiti. E anche perdere un campione a parametro zero è un sacrificio compensato da un progressivo abbassamento del monte ingaggi.

Perché alla Juve, tanto per fare un esempio, il problema non è soltanto lo stipendio dell’argentino in scadenza, ma anche quello dei compagni che per discutere del proprio salario si rifanno a quello di Dybala pur sapendo di avere qualità diverse o inferiori. Si perde un campione per educarne (economicamente) tanti altri.

Prima il Covid, adesso la guerra: il calcio italiano perderà ancor più consistenza a livello internazionale (anche quest’anno nessuna squadra tra le prime otto in Europa), ma può aver imboccato la strada della sopravvivenza. La serie A è destinata – se non lo è già – ad essere un campionato per valorizzare calciatori poi, destinati ad altre leghe più ricche. E' l'amara realtà di cui bisogna prendere atto.