E ora liberateli: l’editoriale del direttore sui bambini della famiglia nel bosco

23 Novembre 2025

Comunque la rigiri questa storia è diventata un brutto pasticcio. Il compromesso prospettato sia dalla Parsi che da Crepet sarebbe la soluzione ideale

CHIETI. Comunque la rigiri questa storia della famiglia del bosco è diventata un brutto pasticcio. Un pasticcio giudiziario locale che si sta trasformando rapidamente (come avevamo previsto) in un caso nazionale, con l’intervento dei ministri e della presidenza del consiglio: una famiglia felice, anche se particolarissima, è stata ridotta a spezzatino. Una famiglia frantumata per via giudiziaria in tre diversi nuclei: il padre nella casetta di pietra, la madre nella struttura di Vasto (ma separata dai figli), anche i bimbi nella stessa struttura (ma gestiti come dei detenuti di lusso). I giudici del tribunale per i minori dell’Aquila, con una leggerezza che stupisce, e gli assistenti sociali che li hanno guidati, con una asettica ferocia che preoccupa, hanno disegnato, quasi senza accorgersene (speriamo), un percorso che ha un sapore punitivo e carcerario.

Altrimenti come spiegare al mondo che il padre può vedere i suoi piccoli per soli dieci minuti al giorno (leggete il pezzo dei nostri Lettieri e Cristofani) e che la madre, che pure dorme nella stessa struttura di Vasto dove sono i suoi figli, può incontrarli solo in occasione dei pasti? Una casa famiglia gestita dalla Chiesa (con il sostegno del Comune) è diventato un penitenziario light: una casa separa-famiglie. Basta leggere i commenti sui social del nostro giornale, o gli interventi dei politici, ma soprattutto i pareri che abbiamo pubblicato di terapeuti di rango come Maria Rita Parsi e di Paolo Crepet (due dei massimi studiosi dell’età evolutiva e adolescenziale) per capire che questa è la soluzione più dannosa per i minori: ha l’effetto di distruggere ai loro occhi il mondo di valori in cui sono cresciuti, e mostrare loro il nostro sistema di vita con la sua faccia peggiore, quella coercitiva e repressiva. Davvero qualcuno crede che con le macchinine, i cartoni alla tv e i giochini si possa sanare una ferita così profonda? Trovo paradossale e grottesco – infine – affidare la funzione reclusiva, come dicevamo, ad una struttura gestita dalla diocesi di Chieti, una casa-famiglia nota per aver salvato vite, trasformata per ordinanza, in una casa contro-la-famiglia. Tuttavia c’è una giudice a Berlino, e ci sarà un giudizio della Corte d’appello all’Aquila. In queste pagine l’avvocato Giovanni Angelucci, che sta dando tutto se stesso per difendere quei tre bambini, spiega perché confida nel ricorso.

Speriamo anche noi in quei magistrati. Questa non è una vicenda che può essere strumentalizzata per raccattare consensi: non stiamo stigmatizzando la magistratura, e nemmeno un singolo magistrato. Stiamo aiutando la magistratura, e i suoi salvifici contrappesi, a correggere un provvedimento che si è rivelato alla prova dei fatti demenziale e ottuso. L’ipotesi di compromesso prospettata sia dalla Parsi che da Crepet su questo giornale (ovvero restituire la famiglia alla sua vita, a patto che accetti la scolarizzazione dei bimbi), sarebbe la soluzione ideale: utile ai bimbi del bosco. Ma anche ai loro compagni di scuola. Utile a tutti quelli convinti che una società vive meglio quando i muri intorno ai bambini vengono abbattuti, invece che sollevati.

Alla fine di questo ragionamento, dunque, c’è solo una parola d’ordine, che è diventata il nostro titolo di oggi: «Adesso liberateli».

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